Dalla crisi ucraina alla deriva dei continenti
Scenari L’Europa sarà sempre più «atlantista», legata agli Stati uniti - e quindi sempre meno euroasiatica - e la sarà Russia sarà spinta nelle braccia di Pechino
Scenari L’Europa sarà sempre più «atlantista», legata agli Stati uniti - e quindi sempre meno euroasiatica - e la sarà Russia sarà spinta nelle braccia di Pechino
Quando la polvere della battaglia in Ucraina si diraderà cominceremo a capire come cambierà il mondo. È sul riconoscimento dell’annessione della Crimea e della neutralità ucraina che ieri a Gomel discutevano le delegazioni di Mosca e Kiev mentre i russi bombardavano. Colpendo Kharkiv.
Si tratta ma con la pistola sul tavolo, anche se Putin ha promesso a Macron di risparmiare i civili. Forse assisteremo a una sorta di «deriva» dei continenti, con un’Europa sempre più «atlantista», legata agli Usa – e sempre meno euroasiatica – e con una Russia spinta nelle braccia di Pechino. Una Cina, è bene ricordarlo, che attraverso la Russia convoglia il passaggio del 90% delle sue esportazioni terrestri verso l’Europa.
Da noi intanto questa guerra inaccettabile azzardata da Putin ha fatto il «miracolo»: è riuscita a compattare un’Unione europea sempre più divisa tra Est e Ovest e ha resuscitato una Nato tramortita dal vergognoso ritiro dall’Afghanistan dell’agosto 2021.
Ci sono intanto alcune certezze. La prima è che gli americani, contrariamente a quanto accaduto in Afghanistan, Iraq, Libia e in altre parti del mondo dove volevano esportare la democrazia, questa volta avevano previsto gli eventi, ovvero l’invasione russa dell’Ucraina. E probabilmente avendo previsto gli eventi hanno anche preparato il terreno, sia militare che diplomatico. Difficile credere che l’attuale resistenza ucraina non sia sostenuta da forniture e consiglieri americani, tanto più che Joe Biden nel 2014, da vice-presidente arringava gli ucraini in piazza Maidan mentre Putin si annetteva la Crimea. Arrivò a sostegno del fragile governo ucraino subito dopo la fuga del presidente filorusso Yanukovich.
È stato Joe Biden – con il figlio Hunter coinvolto negli affari energetici ucraini sul gas russo – a portare avanti in quegli anni la politica di avvicinamento dell’Ucraina alla Nato. Voleva togliere potere politico ed economico alla Russia. Il tabù di proclamare la neutralità ucraina – quel che chiede Mosca – porta anche il marchio di Biden.
Aggrappato all’inflessibile mantra atlantico della «porta aperta della Nato», Biden non ha mai inteso risolvere davvero il «bubbone» ucraino, una guerra civile sfociata in un cessate il fuoco e in quegli accordi di Minsk che avrebbero dovuto dare alle repubbliche filorusse del Donbass una rappresentanza in un Parlamento federale. Dal 2014 l’Occidente e l’Europa hanno avuto tutto il tempo – pur evitando scelte affrettate sull’adesione dell’Ucraina a Unione europea e Nato – di negoziare con Mosca e ridurre la dipendenza energetica nei confronti del gas e del petrolio russo, soprattutto da parte di Germania e Italia. Ma non hanno seguito la strada della diplomazia immaginando, in una logica da guerra fredda, che Putin non avrebbe mai mosso guerra all’Ucraina.
La seconda certezza è che oggi l’Europa è sempre più allineata sulle posizioni della Alleanza Atlantica contro la Russia. Mosca voleva meno Nato e con l’operazione in Ucraina se ne trova sempre di più. Tanto è vero che tutti i maggiori Paesi europei hanno mandato armi in Ucraina e truppe negli stati che confinano con la Russia.
Tutto questo avrà delle conseguenze militari, politiche ed economiche. L’America di Biden avrà buon gioco a chiedere agli europei un maggiore contributo finanziario per sostenere l’Alleanza Atlantica finora pagata per l’80 per cento dagli Stati Uniti. Una richiesta fatta da tutti gli ultimi presidenti americani, Obama compreso, che anni fa chiamò gli europei degli “scrocconi” perché per la loro difesa continentale contavano soprattutto sulle risorse degli Stati Uniti. Washington quindi nei prossimi anni venderà agli europei più armamenti, più sicurezza e anche più gas.
Poi c’è il discorso energia e materie prime. La diminuzione delle quote russe di gas e petrolio in questo momento è estremamente complicato: quindi per un certo periodo di tempo continueremo a finanziare Putin, anche se in maniera non ufficiale e sotterranea. La Russia convoglierà gas e petrolio nelle ex repubbliche sovietiche come l’Azerbaijan e prenderemo da lì almeno una parte delle sue forniture. Un modo come un altro per sopravvivere mentre si cercherà di diversificare i fornitori, cosa non facile visto che il gas americano, del Qatar o africano deve essere liquefatto e trasportato sulle navi. Intanto un Paese come l’Italia _ ieri in missione con Di Maio per il gas ad Algeri _ dovrà reinvestire in Libia, cui è legata dal gasdotto Greenstream, cosa non facile e scontata visto che la Libia continua essere un Paese caotico e instabile.
Diventerà sempre più importante il gas offshore del Mediterraneo. Ma senza farsi illusioni. Il mega giacimento egiziano di Zhor, operato da un consorzio partecipato da Eni, servirà soprattutto i bisogni energetici dell’Egitto. Poi c’è il gas nel Mediterraneo orientale, ma anche qui c’è una pericolosa diatriba tra la Turchia, la Grecia e le potenze europee sulle zone economiche esclusive. Senza contare che la stessa Turchia, Paese della Nato, dipende dal gas russo e bisognerà vedere se Erdogan resisterà alle pressioni per tagliare le forniture di Mosca.
La Russia sarà quindi colpita da sanzioni finanziarie, personali e tecnologiche. Le banche russe saranno tagliate fuori dai finanziamenti. È probabile che gli effetti sull’economia russa saranno profondi. Ma è assai improbabile che questo distolga Putin dalla strada scelta. Invece è quasi certo che userà la guerra che ha scatenato in Ucraina come una scusa per spazzare via gli ultimi residui di libertà politica in Russia. Il paese si trasformerà in una dittatura ancora più stringente, il che renderà più facile eliminare qualsiasi dissenso da parte di quei russi scontenti della politica da Putin.
Ma il rischio più grande è che la rottura economica tra la Russia e l’Occidente sia accompagnato dell’espansione del conflitto e comunque da un lunga rottura anche culturale. Il timore più grande del Cremlino infatti non è la vicinanza delle truppe occidentali e dei missili Nato ma confinare con delle democrazie europee che, pur con tutti i loro difetti, rappresentano un polo di fascinazione per un tormentato mondo slavo che la guerra di Putin vorrebbe ricacciare in un Novecento che non passa mai.
I consigli di mema
Gli articoli dall'Archivio per approfondire questo argomento