La convention del partito repubblicano è la convention di Donald Trump, su questo non ci sono dubbi. Non solo mancano all’appello pezzi storici del partito come la famiglia Bush, la famiglia Chaney, Mitt Romney, lo stesso ex vice presidente Mike Pence, tutte voci stonate, in un coro di elogio per Trump, ma nemmeno i gadget con l’elefante, simbolo del partito repubblicano, sono facili da trovare, mentre il merchandising di The Donald è ovunque.

Tutto ruota intorno a un unico uomo che occupa tutto lo spazio politico. I discorsi che si alternano dal podio sono identici l’uno all’altro ed è difficile distinguere chi abbia detto cosa, ma sono gli stessi concetti che Trump ripete ai suoi comizi: i migranti portano solo delinquenza, i democratici sono folli, rovinano il paese e fanno votare gli illegali, l’economia va a rotoli e i giudici liberal hanno in mano tutto il potere. A dispetto di dati che dovrebbero essere inconfutabili, come il fatto che alla Corte Suprema la maggioranza di giudici conservatori sia di 6 a 3.

QUESTI CONCETTI arrivano anche dagli ex nemici di Trump, diventati ora suoi grandi sostenitori, come il senatore texano Ted Cruz che nel suo discorso ha puntato il dito dicendo che «gli americani stanno morendo, vengono aggrediti, uccisi e stuprati da immigrati illegali che i democratici hanno lasciato liberi». Questa convention fatta a forma di Trump lo riflette in tutto, anche nella gestione caotica che aveva contraddistinto la sua amministrazione.

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In passato i discorsi, i video e le esibizioni erano attentamente sceneggiati per sembrare il più possibile rassicuranti per la base che guardava da casa sul fatto che qualunque cosa avesse sentito sulla radicalizzazione del partito repubblicano non era affatto vera, e che tutto fosse assolutamente sotto controllo.

Quest’anno, invece, non solo il target resta la base più estremista, ma è tutta l’organizzazione a essere un caos: non esiste un programma, l’ordine degli interventi viene deciso al momento, non si sa chi e quando interverrà. La presenza stessa di Trump non è mai certa, nei primi due giorni è apparso a sorpresa verso sera e si è seduto in tribuna d’onore in silenzio alzando il pugno, solo per farsi ricoprire di applausi e grida di giubilo.

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Nel complesso che ospita la convention la voce di chi interviene dal palco viene diffusa ovunque, anche nei bagni e nelle aree ristoro, in modo da non perdere nemmeno una sillaba di ciò che viene detto. Questi imperdibili concetti quando si parla di Trump, e in particolar modo dell’attentato che ha subito, più volte sfociano nel mistico: a sparare «è stato il diavolo», e a salvarlo «è stato un intervento di dio».

IN QUESTO CULTO parareligioso ora c’è anche un simbolo di riconoscimento immediato: la benda sull’orecchio Al secondo giorno di convention alcuni delegati particolarmente entusiasti hanno iniziato a sfoggiare una benda di garza incollata all’orecchio destro in segno di lealtà a Trump, e sempre più partecipanti alla convention stanno seguendo l’esempio. Il culto è stato stabilito, e ora c’è anche un simbolo indossabile.

Stando in mezzo a questa caotica cinesi che ruota attorno a Trump ci si chiede se, dopo avere ricostruito la convention a forma della sua passata amministrazione, l’aspirazione di Trump non sia, in caso di rielezione, quella di forgiare tutti gli Stati uniti sul modello di questa convention, azzerando tutte le voci di dissenso e fomentando l’isteria collettiva attorno alla sua figura, immobile in tribuna d’onore.