L’ultimo episodio risale a domenica: in vista di Cop27 in Egitto, alcuni attivisti per l’ambiente hanno versato olio e sangue finto sulle teche del museo egizio di Barcellona. Lo hanno fatto contro la sponsorizzazione della CocaCola alla conferenza per il clima.

Ma già da qualche giorno sono scesi in campo i direttori di musei e istituzioni culturali – circa novantadue. Insieme, hanno sottoscritto una dichiarazione in cui si chiede la protezione delle opere d’arte, negli ultimi tempi bersaglio (loro malgrado) di azioni dimostrative da parte di gruppi di ecologisti. In questa lettera, i firmatari affermano che gli attacchi mettono a rischio capolavori universali, patrimonio dell’umanità.

In quanto direttori di musei – scrivono – «la pericolosità di questa situazione ci ha scosso profondamente». Gli attivisti starebbero «gravemente sottovalutando la fragilità» delle opere, anche laddove protette da lastre di vetro. Nel lungo elenco di nomi, spiccano quelli dei responsabili del Met, Moma e Guggenheim di New York, del British, Victoria and Albert e della National Gallery di Londra, della Galleria degli Uffizi e la Peggy Guggenheim Collection di Venezia, del Louvre, Musée d’Orsay, Centre Pompidou e Musée national Picasso di Parigi, Prado di Madrid e del Guggenheim di Bilbao.

L’obiettivo comune, precisano, rimane quello di mantenere aperte le realtà museali come spazio di confronto e di «libera comunicazione sociale», ma nel contempo di assicurare la tutela del patrimonio artistico e «preservarne» la custodia a beneficio di tutti.

Fra i quadri resi protagonisti della battaglia contro l’inquinamento da idrocarburi e i cambiamenti climatici, ci sono i girasoli Van Gogh (tra i quali uno esposto a Londra e uno a Roma), i covoni di Monet (a Postdam), la Primavera di Botticelli agli Uffizi, Vermeer e la sua ragazza con l’orecchino di perla. Mercoledì scorso, due attivisti di Stop Fossil Fuel Subsidies hanno lanciato zuppa di pomodori contro una delle versioni dei «Campbell’s soup cans» di Warhol alla National Gallery of Australia di Canberra (incollando poi, come di rito, le loro mani al muro).