Per cielo, per terra e per mare. Le Ong che salvano vite nel Mediterraneo non hanno perso tempo di fronte all’invasione russa dell’Ucraina e si stanno dando da fare in ogni modo per sostenere la popolazione civile.

«Questa missione è stata piena di difficoltà. Abbiamo dovuto attendere per superare il Bosforo perché molte navi erano in fila. Il mar Nero va navigato di giorno per limitare i rischi. Nella parte nord è minato. Volevamo raggiungere Odessa ma per adesso non è stato possibile a causa del blocco navale», dice Oscar Camps. Il fondatore di Open Arms è arrivato ieri con l’omonima nave a Izmail, città ucraina della regione di Odessa situata al confine con la Romania.

L’imbarcazione umanitaria, abituata a pattugliare il Mediterraneo centrale, si è dovuta infilare tra le curve del Danubio per consegnare 24 tonnellate di cibo raccolte con World Central Kitchen, organizzazione no profit fondata dallo chef spagnolo José Andrés nel 2010 per portare rifornimenti alimentari nelle zone di crisi.

«Il nostro obiettivo principale è raggiungere i marittimi bloccati nel porto di Odessa. Molti sono asiatici, filippini. Sono là da due mesi. Gli stati di bandiera delle loro navi li hanno abbandonati. È una situazione di cui si parla poco. La nostra nave è a disposizione per un corridoio umanitario che li metta al sicuro», dice Camps. Finora non è stato possibile ma l’intenzione è aumentare le pressioni sulle autorità nei prossimi giorni. L’equipaggio è pronto a sfidare le mine.

Open Arms si è mossa anche via terra, consegnando tredici camion di aiuti alla frontiera ucraino-polacca, e in aereo. Tra il 12 marzo e il 6 maggio sette voli hanno portato a Barcellona, Madrid e Roma circa 1.500 profughi in fuga dal conflitto. Intanto la nuova nave, la Open Arms 1, ha finalmente ottenuto la bandiera spagnola e in un mese e mezzo dovrebbe mollare gli ormeggi, mentre il veliero Astral sta ultimando i preparativi per una missione davanti alle coste libiche.

Dove è tornata operativa la Geo Barents, di Medici senza frontiere (Msf). Il 2 maggio i 36 membri dell’equipaggio hanno sbarcato 101 naufraghi ad Augusta, 48 ore dopo sono ripartiti verso la zona di ricerca e soccorso. Intanto 570 operatori di Msf, 170 internazionali e 400 ucraini, sono attivi nelle diverse zone del conflitto: da Kiev a Mikolaiv, da Odessa a Kharkiv, da Zaporizhzhia a Luhansk e Donetsk. L’Ong opera in cliniche mobili e ospedali.

Ha anche messo sulle rotaie un treno medico per trasferire i feriti dalle aree dove si combatte. Tra il 31 marzo e il 4 maggio ha trasportato 342 pazienti e 78 orfani (rimasti bloccati in una struttura). Ieri il governo di Kiev si è rivolto proprio a Msf per chiedere l’evacuazione dei militari bloccati nelle fondamenta dell’acciaieria Azovstal a Mariupol. Tra loro i marines ucraini e gli appartenenti al battaglione ultranazionalista Azov. L’Ong sta valutando il da farsi. Non ha ancora risposto.

Mentre a Mazara del Vallo continuano i preparativi della Mare Jonio per la prossima missione in mare, che dovrebbe partire entro maggio, gli equipaggi di terra di Mediterranea hanno varcato tre volte il confine ucraino: due carovane «Safe Passage» si sono fermate a Leopoli, la terza è arrivata Kiev. Gli attivisti hanno consegnato aiuti umanitari e beni di prima necessità; incontrato organizzazioni della società civile e rappresentanze diplomatiche; portato in Italia 250 tra donne, bambini e uomini di sette diverse nazionalità.

«La protezione e l’accoglienza riconosciute dall’Ue a chi fugge dalla guerra in Ucraina sono un precedente positivo che deve essere esteso a chiunque cerchi rifugio in Europa – afferma Denny Castiglione, capomissione di Safe Passage – Nessuna discriminazione è più giustificabile. Per questo continueremo a intervenire in mare come in terra».