Il sud della Tunisia, Cité Ettadhamen e Mornag. Luoghi che ritornano ciclicamente nella pesante crisi economica e sociale che interessa il paese da anni. Luoghi che non sono al centro degli stravolgimenti politici e istituzionali imposti dal presidente della Repubblica Kais Saied il 25 luglio di un anno fa ma che misurano perfettamente l’insofferenza di una popolazione stremata.

In queste settimane le periferie e le regioni più emarginate della Tunisia sono tornate a rivendicare i propri diritti. Promettono di farlo ancora nel prossimo futuro: da giorni i cittadini di Zarzis, a pochi chilometri dalla Libia, uno dei più importanti snodi per le partenze clandestine verso Lampedusa, stanno protestando contro le autorità locali. Lo fanno perché da più di tre settimane aspettano di conoscere la piena verità su una barca dispersa in mare con 18 persone a bordo.

DOPO LE RICERCHE dei pescatori locali e le mancate risposte da parte degli organi competenti, la macabra scoperta: quattro corpi sono stati trovati nel cosiddetto cimitero degli scomparsi, poco fuori Zarzis, senza che fosse stato preso il Dna, operazione necessaria per dare un nome alle vittime del naufragio oltre alla dignità di un funerale.

Da quasi una settimana la città è in subbuglio, il centro – rappresentato da una semplice rotonda e una stazione di benzina – ha assistito a roghi spontanei, manifestazioni notturne e assalti alla sede del governatorato di Médenine. Oggi è previsto uno sciopero generale che potrebbe portare a un aumento della tensione.

Diversi chilometri più a nord, nella piena periferia di Tunisi, i protagonisti delle rivolte del 2021 a Cité Ettadhamen sono tornati in strada. Centinaia di giovani che oltre un anno e mezzo fa avevano dato vita a violente proteste contro il degrado delle condizioni economiche e sociali hanno ripreso a manifestare per dire basta ai soprusi della polizia. La miccia è scattata dopo la morte di Malek Slimi, un giovane del quartiere, in seguito alla fuga da un controllo di polizia. Nel mirino sono subito finite le forze di sicurezza, accusate di avere ferito a morte il ventiquattrenne.

Da mesi è ripreso il dibattito sull’uso della violenza da parte dell’apparato securitario e una grande ombra cade su quello che succede nel palazzo del ministero dell’Interno in avenue Bourguiba, nel pieno centro della capitale. Un luogo da sempre vissuto come l’emblema della repressione in Tunisia.

ECCEZIONE non è stata fatta dopo la Rivoluzione della dignità e della libertà del 2011 e l’inizio del processo democratico nel paese. Arresti sistemici, uso della violenza, torture e morti sospette. Nel corso degli anni la polizia non ha esitato a riprendere il controllo del piccolo stato nordafricano lasciando dietro di sé casi sospetti di vittime morte in circostanze mai del tutto chiarite in sede di processo.

Come Mohamed Marzouki, 30 anni, deceduto il 2 agosto 2021 dopo che il suo camion sbandò inseguito dalla polizia; Abderraouf Khamessi, entrato in una caserma di polizia in una calda estate del 2012 per un’accusa di furto e uscito con una frattura al cranio ed evidenti segni di tortura; o Majdi Allani, deceduto in una manifestazione a Feriana nel 2014 dopo essere stato colpito da un proiettile.

Solo tre istantanee di una quotidianità di soprusi che per i tunisini sta diventando insopportabile. L’ultimo caso a Mornag, sobborgo alle porte di Tunisi, dove nelle scorse settimane ci sono state diverse proteste legate al suicidio di un giovane ambulante della zona dopo che la sua merce era stata sequestrata dalla polizia.

LE MANIFESTAZIONI riassumono lo stato di agitazione in corso nel paese, anche meglio delle proteste politiche dell’opposizione che hanno interessato Tunisi nel fine settimana per chiedere la fine del regime di Saied.

Oggi in Tunisia si fa fatica a trovare i beni di prima necessità – l’ultimo prodotto a mancare è stata la benzina – e l’accordo da 1,9 miliardi di dollari di tre giorni fa tra il Fondo monetario internazionale e il governo di Najla Bouden Romdhane promette di presentarepresto il conto con ingenti tagli alla spesa pubblica, una riduzione sostanziale delle sovvenzioni di Stato e nuove proteste e rivendicazioni.