Europa

Dal ciclone Indignados all’addio di Iglesias

Dal ciclone Indignados all’addio di IglesiasMadrid 23 maggio 2011, il muro di fogli a Puerta del Sol; in basso Pablo Iglesias durante la campagna elettorale del 2015 – Luca Deves (Creative commons) e Efe

2011-2021 Il senso comune progressista affermatosi grazie al movimento 15 M trovava nel 2014 un nuovo interprete politico in Podemos. Il partito viola, che nel 2016 guadagnò il 22% dei voti, è poi arrivato al governo senza radicare nella società un’organizzazione politica diffusa, e alla fine ha perso il leader storico

Pubblicato più di 3 anni faEdizione del 14 maggio 2021

Il 15 Maggio 2011 le piazze spagnole si riempivano di giovani indignati contro il sistema politico e il mercato. Nel solco delle primavere arabe e di Occupy Wall street la protesta contro gli effetti sociali della crisi economica del 2008 arrivava in Spagna, mettendo nel mirino il bipartitismo, l’austerità e la corruzione. Le speranze di una generazione cresciuta nel boom spagnolo, con l’aspirazione di vedere ripagata la propria alta formazione, si schiantavano sul muro della crisi. L’emigrazione, la precarietà, i tagli alla spesa pubblica e il più alto tasso di disoccupazione giovanile d’Europa spingevano alla mobilitazione un’ondata di manifestanti che occupava le principali piazze del paese, accampandosi al grido di «non siamo merci nelle mani di politici e banchieri» e «democrazia reale ora». Il Movimento rifiutava vecchi simboli e liturgie, costruì assemblee permanenti ovunque nel tentativo di creare dal basso quel modello di democrazia partecipata evocato per sostituire una falsa democrazia ingessata nelle catene del bipartitismo. La società spagnola, in maniera trasversale, pensò che gli Indignados avessero ragione nel chiedere più welfare, meno precarietà e una democrazia più giusta. Un movimento che non chiedeva la rivoluzione ma un cambiamento radicale e possibile, intercettando i movimenti di lotta per i servizi pubblici (le Maree) e la rabbia di milioni di spagnoli e spagnole.

Le mobilitazioni successivamente si spensero, il movimento si divise e confluì in esperienze diverse. Alcuni daranno forza alla lotta per la casa (Pah), altri formeranno piattaforme politiche territoriali, mentre si affermava un movimento femminista fortissimo destinato a cambiare il Dna della società spagnola. All’interno di questo riflusso si aprì una riflessione sulla capacità di incidere politicamente. Quel movimento aveva cambiato il senso comune degli spagnoli e aveva dato un segno progressista alle proteste anti-austerità ritardando l’affermazione dell’estrema destra che in quegli anni si affermava in Europa.

Dall’altra parte, però, il suo effetto politico immediato era stata la sconfitta del Psoe nel 2011, con un aumento dell’astensionismo che portò al governo del Partido Popular di Rajoy. La sinistra radicale di Izquierda Unida non sembrava in grado di raccogliere la sfida del rinnovamento che quelle piazze richiedevano.

Il senso comune progressista affermatosi grazie al movimento trovava quindi nel 2014 un nuovo interprete politico in Podemos, un partito fondato da intellettuali, ex attivisti del 15M e da un piccolo partito della sinistra radicale. Il nuovo partito adotterà le istanze e la retorica del 15M in una forma politica paradossalmente molto verticale e con una leadership molto forte, poggiando però spesso territorialmente sulle vecchie assemblee del 15 M. Contemporaneamente, alcune delle piattaforme territoriali nate dal 15M divennero il centro di proposte politiche locali in grado di conquistare i municipi di Barcellona, Madrid, Cadice, La Coruna e Saragozza.

Ma gli effetti politici del 15 M hanno presto coinvolto anche “la vecchia politica”. I poteri forti hanno favorito l’ascesa di un “Podemos di destra” come Ciudadanos mentre, con tempi diversi, il Psoe con la leadership di Pedro Sánchez e il Pp con quella di Pablo Casado si sono dovuti rinnovare.

Podemos ha rappresentato un uragano politico, e nel 2016 ha raggiunto il 22% dei voti. L’impulso del 15M però progressivamente si esaurisce nella società. Parallelamente, la questione catalana fa emergere una forte frattura nazionalista che sposta il focus politico e alimenta nazionalismi diversi, alcuni di sinistra (catalani) altri di destra (portando a destra il Pp e favorendo Vox). Il ciclo politico aperto dal movimento sembra proseguire solo nelle istituzioni, dove si arriva al primo governo di coalizione della storia spagnola tra Psoe e Unidas Podemos.

Se il senso comune progressista del 15M aveva spinto la politica a sinistra, ora le nuove generazioni sembrano guardare pericolosamente a Vox o all’idea di libertà individualista della presidentessa madrilena Ayuso. Il governo progressista spagnolo si è dimostrato troppo timido nel rispondere ad alcune emergenze sociali, mentre Unidas Podemos è arrivata al governo senza radicare nella società un’organizzazione politica diffusa, e perdendo infine il leader storico Pablo Iglesias, personalmente e politicamente logorato da sette anni intensissimi e da un attacco permanente da parte degli avversari politici e delle élite economiche e mediatiche del Paese.

Se il 15M aveva rappresentato una forza sociale e politica capace di trasformare in senso progressista il sistema politico, toccherà ora al governo nazionale e ai partiti che hanno rappresentato quelle istanze costruire politiche pubbliche e un progetto di Spagna all’altezza di quelle aspettative. Altrimenti, un’enorme delusione politica potrebbe sostituire l’indignazione sociale verso il mercato e la corruzione, con la riaffermazione di quel franchismo sociologico che cova nelle viscere della società spagnola e che si alimenta dell’idea che “tutti sono uguali”.

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