Sulle ore drammatiche che vive in queste ore la Russia, abbiamo rivolto alcune domande ad Osvaldo Sanguigni, storico collaboratore da Mosca de il manifesto e autore di Putin il neozar un libro importante uscito nel 2022 per la ManifestoLibri.

Che cosa sta accadendo dalle informazioni dirette che hai dalla realtà russa?
Accade, sotto gli occhi di tutti, lo scontro esplicito e armato tra Prigozhin, capo dei mercenari della Wagner così decisivi per Putin non solo in Ucraina, e il ministro della difesa Shoigu; il primo, anche lui di provenienza eltsiniana, era molto legato a Putin, il secondo è proprio il suo uomo di fiducia.

Si muovono i carri armati, la storia anche recente russa sembra ripetersi…
Per ora dobbiamo dire che potrebbe ripetersi, il peggio non è ancora venuto. Perché il peggio invece negli anni Novanta l’abbiamo proprio visto e vissuto. Il 21 agosto del 1990, era presidente ancora Gorbaciov, i duri del Pcus tentarono un improbabile golpe mentre tra l’altro era in corso una propaganda contro Gorbaciov alimentata dallo stesso Eltsin; e avvenne l’episodio che segnò la sua fortuna: un carro armato venne colpito e fermato e lui fece un comizio tra la gente a lui legata che sancì insieme la sconfitta dei duri e la sua vittoria a tutto il campo; perché Gorbaciov nel frattempo era riparato in Crimea, fu riportato a Mosca sconfitto e come tutti ricorderanno sbeffeggiato in pubblico da uno Eltsin arrogante che pose definitivamente fine all’Unione sovietica.

Il secondo episodio è del 21 settembre 1993: Eltsin decise di sciogliere le due camere del parlamento, ossia il Congresso dei deputati del popolo – la nuova istituzione democratica voluta da Gorbaciov – e il suo Soviet Supremo, senza averne i poteri secondo la costituzione vigente. Ero a Mosca in quei giorni e ricordo tutto come fosse ora. Intorno al parlamento occupato che rifiutava il diktat del nuovo presidente, Eltsin mobilitò i carri armati e l’esercito guidato dal generale Kraciov che intimò agli occupanti di uscire; nel frattempo in difesa del parlamento si era mobilitata una piazza di migliaia di moscoviti. Fu una strage, Eltsin decise di fare bombardare l’edificio, ci furono centinaia di vittime e il parlamento fu occupato manu militari. L’Occidente votava per Eltsin e il mondo chiuse tutti e due gli occhi.

Che vuole davvero Prigozhin?
Finora ha rimproverato Putin perché si è limitato all’«operazione speciale», per lui bisogna andare avanti senza compromessi, e il presidente russo deve sostenere con gli armamenti le sue truppe mercenarie che hanno di fatto sostenuto lo scontro decisivo di Bakhmut. Basta con l’operazione speciale ci vuole una guerra dichiarata, lo stato d’emergenza in tutta la Russia e la mobilitazione generale. Ma qui e là ha anche smentito il racconto ufficiale sulla necessità dell’invasione per difendere il Donbass pur essendone stato il macellaio. C’è da aggiungere che Prigozhin si muove su istanze nazionaliste panrusse ma soprattutto, cresciuto all’ombra degli oligarchi, sulla base dei guadagni anche personali, insomma del denaro – e non escludo anche stavolta qualche “legame” internazionale se non addirittura ucraino; mentre Putin, che io definisco neozar, ragiona in chiave euroasiatica, per cui ritiene fondamentale coinvolgere in questa «visione» l’Ucraina e tutte le ex repubbliche sovietiche.

Il caos attuale e l’eventuale e tangibile destabilizzazione della Russia, facilita la fine della guerra in Ucraina o rischia di allargarla?
Rischia di allargarla e balcanizzarla, con una espansione ad altre realtà nazionali e protagonisti. Perché coinvolgerebbe ancora di più personaggi e nazioni, come il leader ceceno Kadyrov, la realtà della Bielorussia di Lukashenko già abbastanza coinvolta, un probabile coinvolgimento del Kazakhistan, la Moldavia già in bilico anche per l’entità russa della Transnistria, ma soprattutto il fronte dei Paesi Baltici diventerebbe infuocato. Perché lì c’è la striscia di collegamento con la Russia di Kaliningrad dove ci sono i comandi atomici e testate nucleari di Mosca. Se per via del caos militare di queste ore viene chiuso quel corridoio, si apre per la Russia il problema della difesa di Kaliningrad, che vuol dire che fine fanno le ogive atomiche, il cui impiego più volte minacciato. E i Baltici sono di fronte a Finlandia, Svezia e Norvegia. Ecco che il nodo del ruolo e del confronto con la Nato – che ufficialmente si mostra, come a dire, contenta di quel che accade – in realtà ritorna dalla finestra.