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Dai golpisti false promesse di democrazia, ma il Sudan non ci crede

Dai golpisti false promesse di democrazia, ma il Sudan non ci credeCorteo contro il golpe militare a Khartoum – Ap/Marwan Ali

Africa Il generale Burhan, con una mossa a sorpresa, dopo l'ennesimo massacro di manifestanti apre a un governo civile. Le opposizioni rispondono con tre "no"

Pubblicato circa 2 anni faEdizione del 9 luglio 2022

Le proteste contro i militari golpisti ricevono nuova linfa in questi giorni con tanti sudanesi, in buona parte giovani dei comitati di resistenza, radunati a Khartoum e in altri centri. «Abdel Fattah el Burhan è un assassino che prende in giro la giustizia», hanno scandito centinaia di persone contro il capo delle Forze armate nel distretto di Aldaim di Khartoum sollevando in alto le fotografie dei manifestanti uccisi dopo il colpo di stato militare del 25 ottobre.

RADUNI SIMILI sono avvenuti anche Omdurman e Bahri dove i comitati di resistenza hanno esortato i sudanesi a unirsi ai sit-in e a continuare la lotta per abbattere il regime militare. Persone che hanno dato vita a un consiglio rivoluzionario con il compito di stringere i ranghi contro Burhan e rifiutare le ultime «soluzioni» che ha proposto. Dalla parte dei comitati di resistenza sono schierati il Partito comunista sudanese, le Forze della Libertà e del Cambiamento e l’Associazione dei professionisti sudanesi.

Lunedì, dopo l’ennesimo bagno di sangue avvenuto nei giorni precedenti – dieci dimostranti uccisi dalle forze di sicurezza – con una mossa a sorpresa, Burhan ha promesso di dare spazio a un governo civile.

Un’offerta apparsa a tutti una manovra politica destinata a non mutare il quadro generale. Da quasi otto mesi i sudanesi contestano i militari che hanno messo fine alla transizione democratica avviata nel 2019 con la caduta del regime di Omar al Bashir. E hanno pagato un prezzo di sangue molto alto: almeno 114 morti.

Burhan quindi non ispira alcuna fiducia. E poi si è impegnato anche a istituire un nuovo Consiglio supremo delle forze armate che sembra avere lo scopo di vanificare proprio gli sforzi delle forze politiche e delle altre componenti nazionali di formare il governo civile al quale ha fatto riferimento per completare la transizione. Non meno scetticismo ha generato la sua assicurazione che il diritto a esprimere le proprie opinioni sarà garantito a tutti.

«I SACRIFICI che avete fatto per il compimento delle vostre speranze e aspirazioni per la transizione democratica sono apprezzati. Le vostre forze armate non li ostacoleranno, siete la speranza e il futuro del Sudan e abbiamo pietà delle anime dei martiri. Ci rammarichiamo per le vittime da tutte le parti», ha affermato. Parole accolte con rabbia dalle famiglie delle vittime della repressione.

«Si teme che questo nuovo Consiglio supremo delle forze armate venga usato per manovrare qualsiasi governo civile e mantenere gli interessi economici di vasta portata dei militari, con il pretesto della difesa e della sicurezza», spiega al manifesto Lorenzo Scategni, volontario italiano a Khartoum e osservatore della realtà politica e sociale sudanese.

Burhan, ha aggiunto Scategni, «affronta una crescente pressione da parte dei manifestanti e della comunità internazionale per ripristinare il governo civile, alla luce anche del congelamento, seguito al colpo di stato, degli aiuti internazionali di cui il Sudan ha disperatamente bisogno. Tagli ai finanziamenti che non potranno colmare i possibili investimenti in Sudan della Russia e di una serie di paesi (tra cui Israele) che hanno tenuto aperti i rapporti con i golpisti dopo il 25 ottobre». A Khartoum si legge il discorso di Burhan come una sorta di «ritirata tattica» che certo non mira a favorire la ripresa della transizione verso la democrazia.

«QUELLO CHE ha detto Burhan lunedì non vale nemmeno la pena di essere discusso. Abbiamo visto i ripetuti tentativi dei militari di disperdere i sit-in anche dopo il suo discorso. Non avremo nulla a che fare con il regime militare. E abbiamo deciso tre No: nessun negoziato, nessun compromesso, nessuna partnership», ha detto al portale Middle East Eye l’attivista Mohamed Abdul Rahim.

Anche il Partito del Congresso e quello islamista dell’Umma hanno respinto le proposte di Burhan. Tuttavia sarebbe un errore ritenere il generale golpista isolato e sul punto di crollare. Gode ancora dell’appoggio dietro le quinte dell’Egitto e degli altri firmatari degli Accordi di Abramo (Israele, Emirati e Bahrain) ai quali ha aderito anche il Sudan proprio su insistenza delle forze armate.

Senza contare l’ambiguità degli Stati uniti timorosi che un maggiore isolamento da parte dell’Occidente dei golpisti sudanesi favorisca la penetrazione russa in un’area strategica dell’Africa.

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