Carlo III, re del Regno Unito di Gran Bretagna, Irlanda del Nord e degli altri 14 reami (realms) del Commonwealth, sulla sua testa porta una corona e due spade di Damocle. La prima è legata alla stabilità del suo regno in patria, la seconda, molto più pericolosa, pende oltreoceano.

LA REGINA ELISABETTA è stata a capo dei questi stati per 70 anni. Il primo a sbattere la porta e ad andarsene fu Mauritius, che nel 1992 rivendicò la sua indipendenza e si scelse democraticamente il suo nuovo presidente. Per uno che usciva, il Ruanda nel 2009 faceva invece formalmente richiesta di ingresso nel Commonwealth delle nazioni, quello a 56. Ma, a parte questa parentesi, fino ad oggi la tenuta, con qualche scricchiolio, dei reami del Commonwealth è sempre stata garantita dalla presenza della regina, a maggior ragione negli ultimi tempi, quando per età e qualche strana forma di riconoscenza, nessuno, a parte rari casi, ha davvero mostrato apertamente la vera intenzione di andarsene.

DA QUALCHE TEMPO, PERÒ, sulle coste caraibiche soffia il vento del cambiamento alimentato dalla voglia di affrancarsi dai vecchi retaggi coloniali. Nell’autunno del 2021, Carlo ha dovuto fare buon viso a cattivo gioco e, con un serafico «resteremo amici», ha incassato la decisione di Barbados di autoproclamarsi repubblica. Rimossi sia lo stendardo britannico, che la foto di Elisabetta II, sostituita con quella del nuovo capo di stato, Sandra Mason, che ha giurato guardando l’allora principe del Galles negli occhi e rivendicando l’indipendenza dell’isola insieme al primo ministro Mia Mottley.

MA C’È ARIA DI TEMPESTA anche nei mari cristallini della Giamaica, del Belize e di Granada, isole che vivono con profonda insofferenza l’ingerenza britannica. A marso le proteste hanno rovinato il tour nei Caraibi che avrebbe dovuto portare in trionfo la “Golden couple” formata da William e Kate. I due, mentre tentavano l’operazione simpatia, ballando e cantando con piccole selezionatissime folle locali, sono stati contestati e costretti a cancellare alcune tappe. «Il loro stile di vita è pagato con il sangue, le lacrime e il sudore dei nostri bisnonni», gridavano i manifestanti. William si è limitato a dirsi dispiaciuto, un po’ poco per chi si aspettava delle scuse formali e una netta presa di distanza dal passato. Il viaggio si è rivelato un tale flop da costringere i Cambridges a licenziare il capo della comunicazione in tronco. In Giamaica, il percorso verso l’indipendenza è già iniziato. In Paesi molto più grandi, come l’Australia, il tema venne sottoposto all’opinione pubblica in un referendum che si tenne nel 1999. All’epoca, il 55% dei votanti si disse favorevole a mantenere lo status quo, il 45% contrario. I repubblicani hanno dovuto arrendersi.

IL PRINCIPE FILIPPO, noto per la sua ironia, definiva Elisabetta «la psicoterapeuta del Commonwealth», tali erano i suoi legami senza intermediari e sempre attenti con i leader territoriali. Si può dire che quello è stato l’unico terreno sul quale la Corona ha giocato ciò che c’è di più simile ad una aperta partita politica. Oggi il vento è cambiato e l’attuale premier australiano, il laburista Anthony Albanese, a maggio ha nominato come ministro per la repubblica Matt Thistlethwaite e ha manifestato l’intenzione di ripetere il referendum, se verrà rieletto per il secondo mandato e questa volta l’esito non è scontato. Il Canada, invece, non ha mai manifestato una volontà simile anche perché, per uscire dal Commonwealth, è necessario cambiare la costituzione e, a quelle latitudini, sarebbe molto complicato, quindi sua maestà Carlo III è già diventato “re del Canada”.

Nel 2018, il leader dei laburisti Jeremy Corbyn tentò di proporre che il capo di tutto il Commonwealth fosse eletto a rotazione tra gli stati membri, ma, ancora una volta, Elisabetta II riuscì ad ottenere che l’incarico passasse automaticamente al figlio. Ma ora Elisabetta non c’è più.