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Daghestan, 20 morti e 46 feriti. Putin tace

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Russia L’Isis-K non ha ancora rivendicato gli attentati di domenica, ma loda su Telegram «i fratelli del Caucaso»

Pubblicato 3 mesi faEdizione del 25 giugno 2024

«Dobbiamo capire che la guerra arriva anche a casa nostra». Le parole di commento sull’attentato terroristico in Daghestan pronunciate dal governatore della regione Sergey Melikov suonano come un nefasto monito per il futuro. Nel tardo pomeriggio di domenica, giornata di celebrazione della pentecoste ortodossa, alcuni uomini armati di fucili e molotov hanno lanciato un attacco coordinato in due delle principali città della repubblica russa del nord del Caucaso, Makhachkala e Derbent.

SONO STATI presi di mira chiese, sinagoghe e posti di blocco della polizia. L’arciprete Nikolai Kotelnikov, di 66 anni, è stato «brutalmente ucciso» assieme a un altro funzionario di un luogo di culto. La sinagoga Kele-Numaz di Derbent (centro in cui è presente un’antica comunità ebraica) è stata data alle fiamme, ma pare fortunatamente che fosse vuota al momento dell’incendio.
In generale il bilancio delle vittime è salito ieri a 20 morti e 46 feriti, anche se ancora mancano diversi dettagli. Fra i decessi sembrerebbero esserci almeno quindici agenti delle forze dell’ordine, che hanno lanciato un’operazione di controterrorismo risoltasi dopo alcune ore. Sei invece gli assalitori uccisi, tra cui anche due figli e un nipote del presidente del distretto daghestano di Sergokala e segretario della sezione locale di Russia Unita Magomed Omarov, che è stato immediatamente arrestato ed espulso dal partito di governo per aver screditato l’organizzazione. Mentre le comunità colpite osservano tre giorni di lutto per questa, improvvisa, «domenica di sangue», Vladimir Putin tace. Giusto il portavoce del Cremlino Peskov ha riferito delle condoglianze da parte del presidente della Federazione a chi ha perso i propri cari «in Daghestan e in Crimea», associando dunque (come ha fatto parzialmente anche Melikov) gli attentati di Makhachkala e Derbent alla guerra in Ucraina.

MA, SE ESISTE una relazione fra i due eventi, con tutta probabilità questa non riguarda mandanti ed esecutori della strage. Anche se ancora non c’è una rivendicazione ufficiale, il canale in lingua russa Al Azaim, un media legato all’Isis-k, ha pubblicato una dichiarazione nella serata di domenica in cui lodava i «fratelli del Caucaso» per il loro operato. Il Daghestan, regione molto variegata dal punto di vista etnico e religioso ma a maggioranza musulmano-sunnita, è stata per molto tempo teatro di operazione terroristiche di matrice islamica – risentendo di dinamiche non dissimile dalle vicine Cecenia e Inguscezia. Piuttosto, lo sforzo bellico da parte della Russia sul fronte ucraino sembra sempre più portare le contraddizione interne a un punto di ebollizione e a creare problemi di sicurezza: gli attacchi di Makhachkala e Derbent arrivano a solo quattro mesi dalla strage del Crocus City Hall di Mosca (il più sanguinoso dell’ultimo decennio, con 146 morti) e una settimana dopo che nelle carceri di Rostov si è verificata una rivolta che aveva come protagoniste persone accusate di affiliazione con lo Stato Islamico.

PROPRIO IN DUE CITTÀ del Daghestan tra cui Makhachkala, inoltre, a fine marzo si è verificata un’operazione di controterrorismo che ha portato all’arresto di tre militanti del Wilayat Kavkaz (la branca locale dell’Isis) sospettati di pianificare attentati nella zona.
A livello internazionale, arrivano molte condanne soprattutto dai capi di stato del centro-Asia, dall’Iran, dalla Cina e da Israele. Melikov promette risarcimenti per i familiari delle vittime e annuncia un caccia all’uomo che «neutralizzerà tutte le cellule dormienti» presenti nella zona. Ma la lista degli attacchi inizia a essere lunga.

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