Dagalo tenta il golpe ma la resa dei conti con Al Burhan è solo cominciata
Sudan Le Forze di supporto rapido, la milizia agli ordini di Mohamed Hamdan Dagalo, hanno assaltato il palazzo presidenziale. Il capo dell'esercito Abdel Fattah al Burhan, fino qualche mese fa alleato di Dagalo nel colpo di stato del 2021, sostiene di aver respinto i paramilitari
Sudan Le Forze di supporto rapido, la milizia agli ordini di Mohamed Hamdan Dagalo, hanno assaltato il palazzo presidenziale. Il capo dell'esercito Abdel Fattah al Burhan, fino qualche mese fa alleato di Dagalo nel colpo di stato del 2021, sostiene di aver respinto i paramilitari
«Continueremo a perseguire (il generale) Al Burhan per consegnarlo alla giustizia. Invio un messaggio agli onorevoli membri delle Forze armate: unitevi alla scelta del popolo, che noi rappresentiamo. Quello che sta accadendo è il prezzo della democrazia», dichiarava ieri davanti alle telecamere di Al Jazeera Mohamed Hamdan Dagalo, detto Hemetti, capo della milizia «Forze di supporto rapido» (Rsf) tristemente nota per la sua brutalità. Si è anche proclamato difensore della democrazia in Sudan che proprio lui e il suo, ormai, ex alleato e ora nemico, il capo dell’esercito regolare Abdel Fattah al Burhan, hanno spazzato via il 25 ottobre del 2021 realizzando un colpo di stato militare e uccidendo e ferendo centinaia di sudanesi nei mesi successivi. «Tutte le strutture strategiche civili e militari di Khartum sono sotto controllo», ha assicurato da parte sua Al Burhan, sempre su Al Jazeera, sostenendo il fallimento del golpe tentato dai paramilitari.
La verità è che nessuno ieri sera aveva notizie abbastanza precise per stabilire l’esito della «battaglia sul Nilo» per la vicinanza al fiume del palazzo presidenziale al centro per tutto il giorno dei combattimenti, assieme all’aeroporto internazionale di Khartoum dove alcuni aerei sono stati dati alle fiamme. La situazione nella capitale è incerta e fluida. Inizialmente le Rsf hanno comunicato che, dopo aver subito l’attacco dell’esercito regolare, hanno reagito prendendo il palazzo presidenziale e gli aeroporti di Khartoum e della città settentrionale di Merowe oltre alla base di El Obeid. Testimoni hanno visto colonne di fumo levarsi dalla zona del Palazzo presidenziale e si è saputo di scontri nella sede della televisione pubblica. Il bilancio, stando al sindacato dei medici, ieri sera era di almeno tre civili uccisi: due all’aeroporto di Khartoum e uno a Korofan. Alcuni soldati egiziani sono stati catturati dai paramilitari. Un filmato diffuso sui social li mostra accovacciati a terra nella base aerea di Merowe sotto la minaccia delle armi.
Al Burhan, ostentando sicurezza, ha smentito le affermazioni delle Rsf. «Abbiamo buone riserve e basi militari che non sono state ancora mobilitate – ha detto – se lo stato di guerra dovesse continuare faremo entrare le nostre forze a Khartoum da diverse regioni». Il capo della giunta militare può contare sulla fedeltà dell’aviazione che ieri ha condotto diversi attacchi su postazioni e basi delle Rsf dentro e fuori la capitale. «La nostra aviazione ha distrutto i campi di Tiba e Soba (a Khartoum) che appartengono alla milizia di supporto rapido», ha comunicato l’esercito, invitando i civili a rimanere a casa. In un video si vede un cacciabombardiere che sgancia un missile su un obiettivo non noto. Gli scontri si sono diffusi in tutto il paese nel Darfur settentrionale, occidentale e meridionale, dove le Rsf hanno le loro roccaforti lasciando prevedere una ulteriore escalation. Di fronte a ciò l’ex primo ministro Abdalla Hamdok ha pubblicato un video su Twitter in cui chiede la fine degli scontri e invita il popolo sudanese a schierarsi e rifiutare la guerra oltre a chiedere alla comunità internazionale e regionale di intervenire, avvertendo che una guerra in Sudan significherebbe un conflitto nell’intera regione. Anche il presidente della Commissione dell’Unione Africana ha chiesto il cessate il fuoco immediato. Appelli simili sono giunti da altri paesi, anche occidentali, mentre uno spettatore d’eccezione, il governo Netanyahu, segue con attenzione gli sviluppi. Il Sudan infatti è dentro gli Accordi di Abramo del 2020 che hanno normalizzato i rapporti tra Israele e quattro paesi arabi: Emirati, Bahrain, Marocco e, appunto, il Sudan. Proprio di recente Israele aveva annunciato l’intenzione di stringere i rapporti con la giunta golpista sudanese.
Gli scontri sono scaturiti, almeno ufficialmente, da una disputa sui tempi per integrare le Rsf nelle Forze armate regolari come parte di un accordo di condivisione. Ma la resa dei conti tra Al Burhan e Dagalo è anche personale e potrebbe andare avanti a lungo. Vicino a sauditi e a Mosca – si trovava in Russia il 24 febbraio 2022 quando è cominciato l’attacco all’Ucraina – appoggiato dalla Wagner con cui i suoi uomini combatterebbero in vari paesi africani, Dagalo è considerato da molti il vero uomo forte del Sudan dopo la destituzione di Omar al Bashir. Nelle scorse settimane ha preso le distanze dal golpe del 2021 definendolo un errore. Un modo per mettere in difficoltà Al Burhan impegnato a negoziare con l’opposizione la formazione di un governo civile. Le parti avrebbero dovuto firmare tra l’1 e il 6 aprile un’intesa definitiva per la ripresa della transizione verso la democrazia e annunciare l’11 aprile un nuovo primo ministro ed altri membri del futuro governo. Dagalo ha rovesciato il tavolo facendo precipitare la situazione verso l’ennesimo colpo di stato in un paese geopoliticamente strategico.
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