A una settimana dall’ultima serata del festival di Sanremo, continuano i presidi sotto le sedi Rai, accusata di censura di fronte al genocidio in corso in Palestina. Dopo Napoli, Bologna, Brindisi e altre città in tutta Italia, ieri un presidio a Roma.

«ABBIAMO deciso insieme ad altri di far uscire anche Roma dalla gabbia del silenzio» commenta Michele, della Rete degli studenti medi, gruppo tra i primi ad indire la giornata nella capitale. L’adesione è molto alta, secondo gli attivisti 5 mila i presenti. Il ritrovo è sotto la sede della Rai di Viale Mazzini. «C’è qualcuno della Rai tra i giornalisti presenti – si chiedono – Perché non raccontate questo?». «Una manifestazione così sentita, giovane e senza cappelli politici è una scommessa di speranza contro gli interessi privati» commenta Paolo Perrini di SpinTime. Nessuna sigla evidente infatti ruba la scena alle decine di bandiere della Palestina, e durante gli interventi le persone si presentano come ordinari cittadini.

«‘STOP AL GENOCIDIO’: sono tre parole che hanno fatto paura a molti – dice Aurora, delle Rete degli Studenti – Tre parole scontate, ma un problema per un governo che fa finta di non vedere, e un problema per la Rai, che è diventato lo strumento di propaganda di Meloni al servizio del governo di Israele. A quelle parole si è risposto ‘Questa è una festa’, ma senza remore è stato letto un comunicato che tesse le lodi di un paese che pratica l’apartheid». Scrosci di applausi. Poi aggiunge «In uno stato democratico l’informazione deve essere libera, se c’è censura non c’è democrazia». «Il problema non è l’uso politico di Sanremo – dice Luca – ma che un programma con oltre 15 milioni di spettatori venga usato per manipolare l’opinione pubblica e chi porta messaggi di pace viene silenziato».

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AI CANALI d’informazione viene chiesto di parlare dei 30 mila morti palestinesi e di non difendere un «genocidio» in nome della lotta al terrorismo. Che lo facciano i giornali vicini agli interessi israeliani era quasi scontato. Un comunicato in prima serata dal sapore di vittimismo è andato oltre e ha fatto scattare qualcosa nell’opinione pubblica. “Ghali e Dargen hanno smosso coscienze che prima non erano state toccate. Ma non è colpa di quelle persone, ma di un sistema che sta censurando la verità” dice un’attivista. A Roma anche giovedì decine di persone si sono radunate sotto la sede di Repubblica chiedendo le dimissioni del direttore Molinari. È stata montata una lavagna con i video in cui giornalisti di Gaza raccontano la realtà dalla striscia. Se da dentro il palazzo di Repubblica non se ne parla, la società civile lo rende pubblico ai piedi dell’edificio, occupando lo slargo di Via Cristoforo Colombo.

IERI A PIAZZA Mazzini è stato letto anche il comunicato dei giornalisti della Rai che hanno preso le distanze dal comportamento dell’ad Sergio: «Non hanno avuto paura nel prendere posizione. Che la Rai torni ad essere la tv dei cittadini», gridano.

Luca, studente
Un programma tv da 15 milioni di spettatori è stato usato per manipolare l’opinione pubblica. E per silenziare chi porta messaggi di pace

IL PRESIDIO diventa corteo quando la folla inizia a camminare, guidata dalla canzone «Casa mia» di Ghali, ormai quasi un manifesto politico, verso la seconda sede Rai a Piazzale Clodio. Le forze dell’ordine autorizzano il cambio di programma. Degli osservatori di Amnesty International riconoscibili dalle pettorine gialle vigilano la giornata. Nel comunicato dell’organizzazione per i diritti umani si legge «il progetto è di garanzia per tutti: per favorire l’incolumità dei manifestanti e tutelare la reputazione degli operatori delle forze di polizia che svolgano correttamente il loro lavoro». Dopo le immagini dei volti ricoperti di sangue a seguito delle manganellate a Torino, Napoli e Bologna, per molti la loro presenza significa sentirsi più al sicuro.

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SE LA DIREZIONE della Rai voleva silenziara tutto, pare abbia sbagliato strategia. Decine di città in tutta Italia si sono mobilitate in questi giorni e del «caso Ghali» si inizia a parlare anche all’estero. Insieme a Roma anche Palermo, Torino, Pescara, Trieste e Perugia ieri sono scese in piazza. Un rimbombo mediatico che sfida le narrazioni dei mezzi di comunicazione mainstream. E gli attivisti rilanciano la manifestazione nazionale di Milano: il prossimo 24 Febbraio.