La Conservative political action conference (Cpac) è il summit annuale dei conservatori americani che negli anni ’70 fu piattaforma di lancio per Reagan e incubatore e laboratorio della destra neoliberista dell’ultimo mezzo secolo.

Oggigiorno equivale a un congresso ufficioso del partito repubblicano di era populista e quest’anno per la prima volta si è riunito fuori dagli Stati uniti, a Budapest. La geopolitica non è mai stata prioritaria nella piattaforma populista, semmai tendenzialmente isolazionista, ma il convengo presieduto da Viktor Orbán ha voluto sancire l’alleanza transnazionale dei nazional populismi.

TUTTO UN PROGRAMMA il video di benvenuto che ha aperto i lavori nel centro culturale Balna sulle sponde del Danubio. «Essere ungheresi ha significato navigare le acque tempestose della storia», ha recitato la voce fuoricampo su immagini di battaglie medievali e carri armati sovietici.

«Nei secoli imperi hanno cercato di piegarci. Orde comuniste tentato di sconfiggerci, e adesso il feroce attacco della sinistra post moderna (immagini di parate Gay Pride)». «Contro di loro abbiamo eletto leader senza paura», mentre sullo schermo scorreva repertorio di Trump, Orbán e Salvini.

«Dobbiamo unire le forze per rompere l’assedio della sinistra globalista» (su immancabili riprese di George Soros). Assieme possiamo riprenderci la civiltà occidentale».

IL RADUNO si è svolto sotto l’egida di un governo Ue con speaker che indossavano cravatte manageriali e impeccabili tailleur. Ma l’oratoria infervorata scandita dal palco sovrastato dallo striscione «Dio, Patria, Famiglia» è stata all’insegna di un «internazionalismo reazionario» che di altri tempi sarebbe stato definito da internazionale nera.

«È essenziale controllare i media e preferibilmente averne di propri», ha esortato Viktor Orbán nel suo discorso di apertura, e di fatto dal congresso sono stati esclusi giornalisti dei maggiori organi di informazione del mondo cui è stato negato l’accredito in quanto «servi della sinistra».

Orbán è stato salutato come «grande leader e grande gentleman» nel videomessaggio inviato da Donald Trump mentre dal canto suo il leader ungherese ha elogiato i media trumpisti: «Io trasmetterei 24 ore al giorno il programma di Tucker Carlson», ha aggiunto, facendo riferimento al mezzobusto diventato principale paladino di Trump su Fox News.

L’AMMIRAZIONE è più che reciproca. Lo scorso agosto Carlson (intervenuto anche lui alla conferenza via messaggio video), aveva traslocato il suo programma di incitamento ideologico per una settimana di dirette dall’Ungheria che ama descrivere come «paese esemplare».

Orbán e il suo regime neo autoritario sono diventati il modello delle destre populiste mondiali che vi ravvisano il compimento esemplare del loro progetto: un regime securitario («parzialmente democratico» nella classifica dell’osservatorio Freedom House), basato sulla saturazione della propaganda xenofoba e nazionalista intrisa di razzismo e integralismo religioso.

Un regime reazionario capace di prendere il potere per via elettorale e di conservarlo a oltranza tramite il controllo della sfera mediatica, esacerbazione di conflitti ideologici, divisioni «culturali» e se necessario il pilotaggio del sistema maggioritario.

Sta si fatto che la sinergia magiara-americana è diventata una convergenza sempre più proclamata dai conservatori americani giunti ora a tenere il proprio congresso fuori dai confini nazionali.

GLI INTERVENUTI hanno proclamato affinità elettive su protezione della famiglia tradizionale, sovranismo, integralismo religioso, anticomunismo, omofobia, emarginazione di immigrati e minoranze e la volontà, come ha detto Orbán, di «coordinare gli eserciti della destra per riconquistare la civiltà».

Il filo conduttore dello scontro di civiltà è stato ribadito da luminari come Rick Santorum, Nigel Farage e il figlio del presidente brasiliano, Eduardo Bolsonaro, che in un modo o nell’altro hanno fatto riferimento a sostituzione etnica e al «genocidio bianco» per rafforzare le narrazioni apocalittiche.

Il congresso ha messo in chiaro quanto il suprematismo sia stato sdoganato dalle destre «mainstream». Una crociata anti moderna contro la società multietnica e multiculturale che caratterizzerà le campagne politiche Usa di autunno e molte prossime elezioni europee.