Vincenzo Siniscalchi – penalista, più volte deputato, e critico cinematografico – ha insegnato a noi più giovani avvocati che la tradizione, intesa come rispetto delle Grandi Storie non solo in campo forense/giudiziario, non è custodia di ceneri ma custodia del fuoco che va tenuto acceso «andando nel bosco a cercar legna» per alimentarlo costantemente.

Il «cercar legna» era rappresentato non solo dalla sua eclettica cultura umanistica, capace di interpretare il presente, ma anche dal confronto costante con le nuove generazioni. Era un grande intellettuale, e dunque un autentico giurista, capace di leggere la contemporaneità e comprendere a fondo le ragioni degli altri e gli accadimenti terribili che possono travolgere gli uomini. Era per tutto ciò una persona generosa e buona, intendendo la bontà come il primo sintomo dell’intelligenza. Era capace di miracolose mediazioni, e nel contempo fermo e risoluto nelle sue scelte di difensore dei deboli.

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Non fu d’altronde agevole dagli anni Settanta in poi – accanto alle difese di personaggi potenti e famosi – difendere con passione e grande professionalità imputati di movimenti antagonisti, contrastando con intelligenza e tenacia etica la criminalizzazione ingiusta delle proteste di migliaia di disoccupati in lotta per l’attuazione di principi costituzionali inevasi. Ancor meno agevole fu difendere imputati di associazione sovversiva e banda armata in un contesto borghese che non comprendeva e dunque non accettava che un «principe del foro» potesse difendere chi era accusato di attentare ad un sistema che garantiva privilegi ad un ceto benestante di cui si faceva parte.

Per tanti giovanissimi avvocati, e per chi come me ne fu allievo, fu invece una luce, un faro che indicava con fermezza il percorso di attuazione autentica di principi costituzionali. Fu tra i pochissimi giuristi ad intuire già negli anni Settanta il potentissimo condizionamento accusatorio dei media sul processo penale. Aveva una memoria prodigiosa alimentata dall’attenzione autentica verso gli altri. Sapeva capire in un lampo la qualità e lo spessore del suo interlocutore. Capiva prima, andando oltre, come con Maradona quando era all’apice del successo dopo i mondiali vinti: «Dome’ – mi disse – Diego è un grandissimo talento ed un uomo buono, ma morirà solo e disperato…».

Il pomeriggio prima della sua scomparsa eravamo andati assieme al cinema come spesso accadeva. Subito dopo mi ha offerto un aperitivo e, seduti a lungo, ha raccontato ancora una volta Meraviglie della sua bella ed intensa vita, come la cena a Napoli a casa sua con Federico Fellini. Da Maradona a Fellini, un avvocato straordinario, il più colto, il più moderno ed innovativo di tutti, un grande intellettuale. È scomparso lunedì scorso a 92 anni durante un convegno dell’Anpi, da relatore protagonista, in piedi, con il microfono in mano mentre parlava di politica e diritti dei deboli in un cinema di Napoli, lui che era anche critico cinematografico appassionato. Tema del convegno era «Il valore della memoria per costruire un futuro migliore». In ragione di ciò, conserveremo per sempre memoria del Maestro Vincenzo Siniscalchi.