Lavoro

Da lunedì 18 dicembre inizia la corsa ad ostacoli per l’assegno di inclusione

Da lunedì 18 dicembre inizia la corsa ad ostacoli per l’assegno di inclusioneLa ministra del lavoro Marina Calderone – Ansa

Workfare all'italiana Il governo ha avuto un anno per comunicare le modalità del passaggio dal "reddito di cittadinanza" all' "assegno di inclusione". Poi ha deciso di farle partire lunedì 18 dicembre, a dodici giorni dalla scadenza, per evitare ingorghi telematici. 700 mila famiglie interessate. Diversi «occupabili» non trovano corsi, né sono pagati. Sempre lunedì la ministra del lavoro Calderone incontra i sindacati

Pubblicato 11 mesi faEdizione del 16 dicembre 2023

Nove giorni, escluse le feste. Tanto mancherà alla fine ufficiale del «reddito di cittadinanza» lunedì 18 dicembre, quando sarà possibile iniziare a fare domanda, tramite patronati e Caf o online sul sito dell’Inps tramite lo Spid, per il nuovo sussidio «assegno di inclusione». Dopo un anno mancava ancora un decreto ministeriale, depositato solo ieri alla Corte dei conti. Lo ha fatto sapere il ministero del lavoro che ha annunciato una campagna di informazione sull’accesso al nuovo sussidio destinati a nuclei familiari «poveri assoluti» con almeno una persona con disabilità, minori, over 60. L’importo massimo annuo sarà di seimila euro, incrementabile in base alla composizione del nucleo familiare e alle necessità abitative. Un single che non guadagna, e ha un figlio a carico e un affitto oltre i 280 euro avrà un «assegno» di 855 euro mensili (6mila x 1,15) + (280 x 12 mesi). Una famiglia con due adulti ed un figlio disabile nelle stesse condizioni prenderà 1230 euro (6mila x 1,90) + (280 x 12 mesi). E così via.

Il sussidio durerà 12 mesi, non più 18 rinnovabili per altrettanti, com’era il caso del «reddito di cittadinanza». È uno dei cambiamenti significativi apportati dal governo Meloni. Il taglio dei sei mesi mira a risparmiare sulle spalle dei più poveri ritenuti «non abili» al lavoro. Secondo le stime dell’Inps ad essere interessati sono 737.400 nuclei familiari di cui 348.100 con almeno un minore, 215.800 con almeno un disabile e 341.700. Ogni 90 giorni dovranno presentarsi ai servizi sociali. Se non lo faranno il sussidio sarà sospeso.

Ora per queste persone inizia la corsa, con le vacanze di natale in mezzo. Dovranno cercare di non perdere il sussidio, anche se avrà un nome diverso. Per evitare di fargli perdere un mese di sussidio potranno usare l’Isee del 2023. In ogni caso è un’altra limitazione: non tutti sono aggiornati, per di più su una misura in pratica sparita dal dibattito politico e relegata all’invisibilità mediatica. Non tutti hanno accesso all’online. E potrebbero trovare i Caf e patronati chiusi durante le vacanze. Tendere trappole, inventarsi nuove procedure, cambiare nome (l’assegno di inclusione è la quinta formulazione di una politica assistenziale dal 2017) è tipico delle burocrazie che rendono la vita un inferno. Si escludono sempre più persone e si risparmia sui loro bisogni. È un altro aspetto del Workfare peggiorato dal governo in carica. Conoscendo il ritornello per cui il «reddito di cittadinanza» era migliore ricordiamo i dati Inps su quante persone sono state escluse da esso. Quel sussidio non è stato erogato a un milione e novecentomila persone in quattro anni. Nello stesso periodo un altro milione è «decaduto». A 300 mila è stato revocato. È invalsa in questi mesi la nozione di «esodati del reddito di cittadinanza». Quelli che sono stati esodati dal reddito di cittadinanza sono stati dimenticati. Un’altra prova della grave mancanza di conoscenza della logica del Workfare, non solo in Italia.

Poi ci sono i «poveri assoluti occupabili» tra i 18 ai 59 anni. Hanno già perso il sussidio – pare 300 mila persone – con un sms da luglio. Per loro è stato pensato il «supporto di formazione e lavoro» da 350 euro, un importo inferiore di almeno 200 euro medi rispetto al «reddito di cittadinanza». Per averli dovranno trovarsi un corso di formazione. E nel caso lo trovino non è detto che siano pagati a causa di disfunzionalità delle piattaforme, come abbiamo raccontato su Il Manifesto. Un altro ostacolo è il restringimento del reddito Isee inferiore pari a 6 mila euro (per avere l’«assegno di inclusione» il paletto è fissato a 9.360 euro). E, infine, c’è la domanda alla quale nessuno dei sostenitori di destra e sinistra delle «politiche attive del lavoro» risponde: quale lavoro troveranno i superstiti di questa selezione dopo essersi «formati»?

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