Le questioni ambientali in Italia ormai sono in grado di mobilitare molte persone. Numerose proteste riguardano sopratutto la montagna, letteralmente presa d’assalto dagli speculatori come se fosse l’ultimo terreno di conquista: dalle Alpi agli Appennini decine di comitati locali e associazioni si battono contro nuovi impianti a bassa quota o l’ampliamento di altri impianti allo scopo di creare giganteschi comprensori, la creazione di bacini per la neve artificiale che sottraggono preziose risorse idriche, la realizzazione di opere dannose e inutili per giochi olimpici invernali. Insomma, contro la turistificazione selvaggia e insostenibile e uno sport – lo sci – che a questo punto andrebbe ripensato da cima a fondo.

A CORTINA, COMITATI LOCALI, AMBIENTALISTI e centri sociali hanno percorso i boschi che rischiano di essere devastati dalla costruzione della Pista da Bob per i Giochi Olimpici invernali del 2026, ancora in ballo nonostante l’estremo ritardo, i costi sempre più elevati e la possibilità di utilizzare il vicino impianto di Innsbruck. Il 10 settembre il comitato Salviamo il lago Bianco invita tutti a quota 2061, sul Passo Gavia, nella parte lombarda del Parco Nazionale dello Stelvio, dove un prezioso lago alpino rischia di scomparire per alimentare i cannoni della skiarea di Santa Caterina Valfurva. E proprio nei giorni del WWCJ, dopo il successo della mobilitazione nazionale del 12 marzo lanciata in 9 regioni dal coordinamento The outdoor manifesto, ci sarà un’altra giornata di mobilitazione diffusa in località di montagna minacciate da progetti nocivi.

DA TRENT’ANNI LA BATTAGLIA NO TAV IN VAL DI SUSA ha creato una vera e propria comunità attorno alla difesa del territorio dall’aggressione di una grande opera. Nonostante le denunce, gli arresti, le condanne spropositate, la stigmatizzazione, il movimento No Tav riunisce ogni anno centinaia di sognatori irriducibili nel Festival dell’alta felicità, ed oltre a continuare a disturbare i cantieri in Val di Susa proprio quest’anno ha rilanciato sul piano internazionale sostenendo la mobilitazione di migliaia di No Tav francesi in Val Maurienne.

L’AMBIZIONE DEL MINISTRO DELLE INFRASTRUTTURE Matteo Salvini di realizzare il controverso Ponte sullo stretto di Messina ha riattivato la Rete No Ponte, che in più di un’occasione negli ultimi mesi è tornata in piazza con migliaia di persone tra Messina e Reggio Calabria.

«PER IL CLIMA, FUORI DAL FOSSILE» È UNA CAMPAGNA animata da comitati locali e associazioni contrari alle nuove grandi opere di estrazione, produzione e distribuzione di energie fossili ( trivellazioni, gasdotti, centrali a gas, rigassificatori) e che in opposizione alla logica delle mega centrali promuovono centri più piccoli di produzione di energia rinnovabile e comunità energetiche.

DIFFUSA IN TUTTO IL TERRITORIO NAZIONALE, solo nel 2023 ha promosso manifestazioni a Piombino, Cagliari, Napoli e Ravenna, ha tenuto la sua assemblea nazionale a Sulmona, dove gli abruzzesi da mesi protestano contro la realizzazione di un metanodotto della Snam che devasterebbe l’ecosistema appenninico, e ha organizzato un campeggio estivo militante a Ostuni, in Puglia. Molto sentite le proteste nei territori alluvionati della Romagna, dove metanodotti, pozzi estrattivi e rigassificatori intensificano il rischio sui territori già devastati.

LE ATTIVITÀ MILITARI E LE RELATIVE CONSEGUENZE ambientali alimentano un altro fronte diffuso di proteste, che ha il suo centro nella ultrasfruttata Sardegna ma passa anche per i parchi naturali del Circeo e del Gran Sasso, dove le esercitazioni a fuoco disturbano la fauna, mentre a Lampedusa si chiede di studiare la possibile correlazione fra la presenza dei tanti radar e le alte incidenze tumorali (che colpiscono anche gli abitanti dell’isola di Linosa)

NEL 2013 SI COMINCIÒ A PARLARE DELLE FALDE IDRICHE venete inquinate da Pfas, sostanze di sintesi chimica utilizzate per rendere i prodotti impermeabili e che rappresentano una grave minaccia per la salute umana e dell’ambiente. Le indagini portarono alla luce che dal 1977 l’industria chimica Mitemi scaricava tali sostanze nei corsi d’acqua, contaminando a catena terra, prodotti agricoli e animali d’allevamento. Sempre più persone della zona di Vicenza, Verona e Padova si ritrovano nel sangue concentrazioni elevate di Pfas, che sono interferenti endocrini, oncogeni e determinano infertilità. Diverse associazioni attive sul territorio si sono riunite nel Coordinamento acqua libera da Pfas per sensibilizzare e informare la popolazione locale. A distanza di dieci anni non hanno smesso di manifestare per ottenere la bonifica dell’area e fermare il progressivo espandersi dell’inquinamento. La contaminazione da Pfas non è però un problema che si limita al Veneto, ma è una vera e propria emergenza sanitaria che riguarda tutta Italia, dove secondo il Forever pollution projects si contano 1600 siti contaminati: si può ben dire che si tratta di una delle questioni ambientali più gravi (e sottaciute) e non ancora risolte del nostro Paese.

UNO DI QUESTI E’ IN PIEMONTE, A SPINETTA MARENGO, in provincia di Alessandria, dove i cittadini e le cittadine si sono costituiti in un movimento di lotta per la salute e stanno preparando una class action contro la Solvay. In provincia di Brescia, una delle aree più contaminate d’Europa con i suoi 90 milioni di tonnellate di rifiuti tombati, l’insorgenza di malattie cancerose connesse alla dispersione di prodotti tossici nel ambiente ha raggiunto soglie che non è esagerato definire drammatiche: le «mamme volanti» di Castenedolo da anni combattono – e continuano a combattere – per la salute del proprio territorio e dei propri figli.

IN ITALIA, SECONDO L’ISTITUTO SUPERIORE DI SANITÀ, ci sono 46 siti contaminati di interesse nazionale (Sin): zone in vicinanza di aree portuali, discariche, ex impianti industriali e miniere, la maggior parte dei quali aspettano ancora la bonifica e nel frattempo hanno provocato 59.641 decessi prematuri in un anno. Quasi impossibile esaurire la mappa dei disastri e delle mobilitazioni attive sul territorio: si va Taranto a Brindisi, dalla valle del Sacco a Piombino, dalla cosiddetta Terra dei fuochi napoletana a Porto Marghera. E’ dove ci ci si ammala e si muore di più, è dove si continua a protestare, spesso inascoltati.

DA QUI, CONSIDERATO CHE LE PERSONE (anche in Italia) si mobilitano e ritrovano il gusto di lottare quasi solo a partire dalle questioni ambientali legate ai propri territori, sta nascendo la nuova esigenza di fare rete per mettere in connessione e dare forza a tutte le istanze «sparpagliate» che vengono pressoché ignorate dalle politica e dalle istituzioni.