Da Copacabana a Acari, come cambia il Brasile
Verso Rio 2016 A due giorni dall’inizio dei Giochi, nella città più militarizzata del momento. L’attesa sulle sue celebri spiagge e oltre, nei bairros dove lo Stato non entra
Verso Rio 2016 A due giorni dall’inizio dei Giochi, nella città più militarizzata del momento. L’attesa sulle sue celebri spiagge e oltre, nei bairros dove lo Stato non entra
Un’onda, non anomala ma certo enorme, si è abbattuta sulla spiaggia di Copacabana sabato 30 luglio. Inaspettata, ha creato diversi danni ma per fortuna nessuno si è fatto male, com’è invece successo quando hanno inaugurato la ciclo-via a Vidigal nel mese di gennaio. Aperta e qualche settimana dopo crollata, proprio a causa di un’onda che l’ha investita in pieno. Sono morti due ciclisti, i loro corpi ritrovati sulla spiaggia di São Conrado. La ciclo-via, opera della multinazionale Oderbrecht, è costata 44 milioni di reais, circa 15 milioni di euro. Sabato invece nessun danno alle persone, ma molti disagi. L’acqua è arrivata fino ai garage dei grandi hotel e dei palazzi vicini, è passata sotto lo stabile che ospiterà la sala stampa fino ad arrivare alle costruzioni signorili che dominano l’Avenida Atlantica e la splendida vista sulla spiaggia.
Il resto è venuto da sé
Originariamente Copacabana e la sua regione avevano il nome di Tupi de Sacopenapa, in omaggio al battito di ali del Socòs, tipico volatile della zona. Solo dal 1700, in onore della santa del luogo, Nossa Senhora de Copacabana, prende il nome che ha tuttora. Tra la fine dell’Ottocento e l’inizio del Novecento con l’arrivo dei tram e l’apertura dei tanti tunnel diviene una zona sempre più frequentata. Nel 1910 nascono i primi “bagni” (Posto 1 e Posto 2). Nel 1923 viene inaugurato il più importante Hotel della città, il Copacabana Palace, che è uno dei simboli di Rio e sarà di sicuro uno dei grandi protagonisti, nel corso delle Olimpiadi che si aprono il 5 agosto, dal punto di vista mediatico.
Negli anni ’70 per evitare che il mare invadesse le corsie dell’Avenida Atlantica si è deciso, affidandosi a ingegneri di ditte olandesi e portoghesi, di allargare la spiaggia e realizzare degli interventi per evitare che il tutto crollasse sotto la spinta e l’impatto che hanno queste spettacolari onde. Il resto è venuto da sé. Ma in realtà i lavori non sono stati fatti a dovere e l’acqua d’inverno capita che invada la spiaggia se non addirittura la strada.
La domenica è il giorno in cui l’avenida è chiusa al traffico e c’è una festosa invasione di persone. A piedi, in bici, in skate o su strani pittoreschi mezzi. Tantissima gente ma pochi i turisti stranieri, questa la percezione. Un po’ come a Praca XV dove i lavori non sono ancora terminati ma c’è già stata la prova generale con una mega festa, dj e tutto ciò che si può immaginare. La piazza invasa di gente fino a notte fonda. Anche a Lapa venerdì c’era il tutto esaurito. Anche qui, brasiliani per lo più.
A Leme hanno quasi terminato l’Arena del beach volley che qui è uno sport molto popolare. La spiaggia di Leme, la più chic della città, ieri sembrava Belfast negli anni ottanta. C’era esercito ovunque. Per non farsi mancare nulla c’era anche, in strada, la polizia civile, quella militare e il Core. Avanti indietro con le camionette, soldati dappertutto. Perfino a guardia dei bagni pubblici. Uno spettacolo davvero insolito anche per i brasiliani che, sopportano, ma evidentemente non apprezzano.
Anche perché poi da una certa ora della sera, le 21 più o meno, tutto questo dispiegamento di forze sparisce e ciò che deve succedere accade.
Quando l’alba sta per arrivare, in locali come il Mabs, che è proprio di fronte all’Arena del beach volley, si aggirano i pochi stranieri. Sanno che a quest’ora possono contrattare un prezzo migliore con una delle tantissime ragazze in attesa dello straniero che le farà guadagnare in poche ore quello che non guadagnerebbero in una settimana facendo un altro mestiere. La maggior parte di loro arriva dalla zona Norte della città, la più povera. Luoghi dove i loro clienti non metterebbero mai piede. Colpisce che l’offerta sia di gran lunga superiore alla domanda. Anche le ragazze si aspettavano molta più gente. Che arriverà, ripetono ogni giorno i media. La questione della prostituzione in Brasile è molto complessa. Più che tollerata, sembrerebbe incentivata da una “cultura” machista che resta molto forte.
Qui si muore tutti i giorni
Attorno al Mabs ci sono le strade più pericolose di Copacabana. In mano a gruppi di disperati che assaltano preferibilmente questi avventori dell’ultima ora, quando la polizia non si vede. Come non si vede ad Acari. Per arrivarci si percorre per chilometri Avenida Brasil, si arriva alla passerella 27 e si giunge a una prima comunità. Si chiede a chi è di guardia, qui la legge la detta Comando Vermelho, di parlare con chi decide, col quale c’è già stato un contatto per avere il permesso di passare. In questo luogo se non ci vivi non ha senso venirci. Siamo ad Amarelinho-Irajà. Si cammina, poco, si arriva al compleixo de Acari. Stesso iter. Sono due «comandi» diversi a cento metri uno dall’altro, due confini da superare. Ora siamo in territorio del Terceiro Comando e anche qui chi mi aspetta ha informato del mio arrivo: qualche parola di rito, abbracci e via libera. Il tutto nella città più militarizzata che ci sia, al momento.
Incontro Ze Luis, padre di Maicon, due anni, ucciso dalla polizia circa vent’anni fa. Ad Acari non c’è nulla, neppure asfalto sulle strade. Ze Luis ha deciso di aprire in questo luogo, dove non c’è la scuola e neppure un presidio medico, un teatro e un laboratorio artistico per i ragazzi di Acari. Maicon, suo figlio, è morto giocando in strada, colpito da un colpo alla testa, nell’aprile del 1996. Gli agenti che si sono distinti in questa impresa sono stati promossi ed elogiati ufficialmente. Oggi ricoprono cariche importanti. Tra pochi mesi il caso andrà in prescrizione.
Intanto in queste notti alla Marè si è continuato a sparare. Ci sono morti, come ogni giorno, in uno dei luoghi meno “illuminati” dai fari olimpici. Nelle registrazioni audio che sono circolate nella rete di associazioni e attivisti si sentono nitide le raffiche e si sente la paura di chi, dentro queste piccole case dagli esili muri, rischia ogni giorno di morire senza neppure sapere il perché.
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