Cynthia Fleury, dove c’è risentimento è fatale il populismo
Libri «Ci-gît l’amer. Guérir du ressentiment», da Gallimard
Libri «Ci-gît l’amer. Guérir du ressentiment», da Gallimard
Al posto della «convergenza delle lotte», orizzonte dei movimenti sociali, stiamo correndo il rischio di una «convergenza dei risentimenti»?
Lo scontento di fondo che si condensa nel «no» a tutto senza progetto, sta sgretolando le nostre società, la «ruminazione» a livello personale e collettivo porta a compiacersi nella posizione della vittima in un’accumulazione di passioni tristi – invidia, gelosia, odio.
Quando il veleno del risentimento invade tutto, quando la sola risposta è prendersela con il mondo e consentire all’idea che nulla serve, che tutto è inutile a parte cedere alla violenza per lottare contro le ingiustizie oggettive che aumentano nella fase attuale del capitalismo, i leader populisti sollecitano le pulsioni di risentimento e sfruttano questa attitudine per emergere e imporsi.
La filosofa e psicoanalista Cynthia Fleury, docente all’Ecole Nationale des Arts et Métiers, fa una diagnosi del risentimento e della sfida che rappresenta per lo stato di diritto e la democrazia, in un volume appena uscito in Francia, Ci-gît l’amer. Guérir du ressentiment (Gallimard, pp. 324 pag., euro 21), «qui giace l’amaro», un gioco di parole tra «qui giace la madre» e «qui giace il mare» (in francese amer, mère e mer suonano uguali). Attraverso filosofi, psicoanalisti, storici, poeti, scrittori, artisti, Fleury presenta elementi di risposta a una malattia tipica della social-democrazia.
La storia non è sempre progresso, miglioramento etico. come quindi si può produrre storia diversamente che con il risentimento? Cynthia Fleury convoca Nietzsche e la «morale degli schiavi», per i quali è sempre colpa degli altri.
Esamina la pulsione di morte di Freud, che se non viene sublimata fa da strato alla dittatura, cita Wilhelm Reich e La psicologia di massa del fascismo, un libro del 1933 che parla della responsabilità della massa, che si nasconde dietro la rivendicazione di «apoliticismo» (Hitler vinse anche grazie alla mobilitazione di gente che di solito non votava), dice che il fascismo prima di essere un momento storico è un momento psichico, che potremmo rivivere se non ci sarà sublimazione.
Secondo Castoriadis, ogni società produce il suo tipo umano: il capitalismo produce una forma di narcisismo, di individualismo che esacerba la violenza, un’organizzazione economica e sociale che crea risentimento su scala sia individuale che collettiva.
Da un lato, il neo-capitalismo attuale ha portato all’eccesso il processo di de-narcisizzazione, della reificazione nel lavoro che crea dei «superflui» e produce perdita della stima di sé, disprezzo sociale. Ma al tempo stesso, dall’altro, la società dei consumi re-narcisizza, il consumo fa l’effetto di un calmante. La possibilità di non cedere al risentimento esiste, bisogna «prendersi per i capelli» come il barone di Münchausen, raggiungere a livello individuale e collettivo una maturità psichica emotiva. Aimé Césaire diceva: non c’è nel mondo un povero tipo assassinato, umiliato in cui io non mi identifichi. Ma senza risentimento, lo scrittore Césaire cerca il dolore, lo incarna e così facendo se ne libera. Franz Fanon, psichiatra e filosofo, insisteva sul fatto che non c’è «fatalità»: «non sono schiavo della schiavitù che ha disumanizzato i miei simili».
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