Il monumento a forma di campana, il gioco preferito dai bambini, davanti al Palamilone, simbolo della tragedia, è pronto per esser inaugurato. Così come «il giardino di Alì», una distesa di 94 alberi che ricordano il numero di morti e il piccolo siriano di tre anni, annegato quella notte nello Jonio e che ha trovato sepoltura qui a Crotone. È passato un anno. Trecentosessantacinque giorni dalla più grave tragedia dell’immigrazione in acque italiche dopo Lampedusa. Steccato di Cutro 26 febbraio 2023, Lampedusa 3 ottobre 2013 sono i giorni della memoria dei migranti morti in mare.

Lo ribadiscono gli attivisti e le reti antirazziste che in vista dell’anniversario hanno messo in cantiere una serie di iniziative in ricordo. Tornare a Crotone un anno dopo è come un malinconico déjà vu. Perché i volti e le storie sono quelle di allora. Ci sono i familiari delle vittime e i sopravvissuti. E ci sono i pescatori che stoicamente si prodigarono per sopperire alle deficienze dei soccorsi ufficiali. Che arrivarono tardi e male. Il convitato di pietra resta il governo. Le responsabilità politiche rispetto alle indicazioni generali precedenti e quelle sulle misure adottate successivamente.

«Quella che commemoriamo è una strage etica, giuridica e politica – rimarca Filippo Sestito, animatore dei movimenti antirazzisti calabresi -. Cento donne, uomini e bambini che non bisogna dimenticare. Ma a noi non basta il ricordo. Noi chiediamo verità e giustizia per tutti i sommersi dalle politiche liberticide. Non solo i morti di Steccato ma tutte le migliaia di senza nome annegati a causa di leggi odiose dei governi di destra ma anche per i memorandum italo-libici di centrosinistra. Come l’esperienza di Riace ci insegna bisogna smetterla di lucrare sull’immigrazione. E come dice Mimmo Lucano: basta con la disumanità». Tre le giornate del ricordo, a partire da oggi, organizzate dalla rete 26 febbraio. Domani alle 15 corteo cittadino nelle strade di Crotone. E poi l’evento clou, quello più toccante. Alle 3.58 di lunedì mattina la fiaccolata notturna e la processione laica sulla spiaggia di Steccato di Cutro. Per gridare: «Basta morti in mare».

Vincenzo Luciano è un pescatore di Steccato. Quel giorno, col mare grosso, non era al lavoro ma in riva al mare. «Ho visto le ombre. Una scena di guerra. Le onde che catapultavano montagne di corpi. Una macelleria umana in acqua. Mi sono tuffato e ho cercato di recuperarne qualcuno. Ma era una impresa titanica». A distanza di un anno Luciano è diventato testimonial di quella tragedia: «Ma non scrivere che sono un eroe. Sono piuttosto un mascalzone che si trovava sul luogo dei fatti. Vedere quei corpi ammassati sulla riva è stato terribile. A un certo punto ho afferrato un bimbo e l’ho portato in macchina. Ho provato invano a rianimarlo. Ero solo, non c’era nessuno che potesse darmi una mano. Era buio pesto. Poi dopo un’ora è arrivato qualcuno. Ricordo il giorno dopo la scena di una mamma che mi si è avvicinata. Aveva già perso una figlia ma cercava disperatamente l’altra. Mi ha chiesto di trovarla e mi ha consegnato una sua foto. Ecco, scrivi che io mi sveglio ogni mattina col ricordo di quella foto».

Al porto di Crotone Alidad Shiri sta per entrare negli storici locali della Lega Navale per partecipare a un evento pubblico. È il portavoce dei familiari delle vittime. Viene da Bolzano dove vive da dieci anni. Ha un cugino tra la decina di dispersi che mai più si troveranno. «Non ho ancora il coraggio di dirlo a mia zia che neanche il corpo del figlio riuscirà a piangere. Mio cugino aveva il sogno di rifarsi una vita qui in Italia cosa impossibile nell’Afghanistan dei talebani». Tornare nella città del naufragio è una cicatrice che non si rimargina, anche se Shiri ricorda con commozione l’affetto del popolo crotonese. «Ci regalavano i fiori, ci accompagnavano ovunque. I crotonesi si sono dimostrati dei veri esseri umani». E rammenta quando la prefetta non volle riceverli «perché non aveva tempo». Erano i momenti concitati del tentativo del governo di trasferire le salme nottetempo da Crotone a Bologna. Qualche giorno dopo a Cutro si sarebbe tenuto un Cdm straordinario. Il governo voleva levarsi di torno quelle bare imbarazzanti. Solo grazie alla protesta dei familiari l’onta fu evitata.

«Noi siamo ancora qui a pretendere verità e giustizia da quei ministri che non si sono degnati di venirci neanche a salutare prima del Cdm. È stata una strage che si poteva evitare, io ancora non mi do pace». Novantaquattro saranno i morti accertati, 34 minorenni. Sull’arenile bianco a striature rosse di Steccato quella domenica mattina del 26 febbraio i corpi erano distesi a braccia larghe, spogliati dalle onde. Accanto i pezzi del relitto, i vestiti, gli zaini, le scarpe. Il battello era zeppo di giovani in cerca di futuro. Di loro a Crotone oggi sono rimasti ad abitare 11 superstiti.

Lavorano come camerieri e lavapiatti nei locali del lungomare Antonio Gramsci. Frequentano corsi di Italiano, cercano di esorcizzare gli incubi con l’aiuto di uno psicologo, coadiuvati dalla cooperativa Agorà Kroton. Vivono dignitosamente solo grazie al fatto di aver scampato la morte per miracolo. Sono parte attiva delle iniziative del primo anniversario, un monito per il governo che ha disatteso le promesse che la stessa premier Meloni aveva fatto ai familiari delle vittime ricevendoli (dopo quasi un mese) a Palazzo Chigi: corridoi umanitari e ricongiungimenti rapidi dei congiunti dai paesi di origine, identificazione, riconoscimento e degna sepoltura di tutte le salme. Vane illusioni di governanti senza memoria.