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Cuba: nessuna differenza fra Trump e Biden, le ingerenze continuano

Cuba: nessuna differenza fra Trump e Biden, le ingerenze continuano

America latina Con la guerra crescono le pressioni statunitensi a sud del Rio Bravo

Pubblicato più di 2 anni faEdizione del 29 aprile 2022

Cuba, «in termini pratici per la propria popolazione, non vede quasi nessuna differenza» tra la politica dell’Amministrazione Trump e quella dell’attuale presidente Joe Biden. Nel giro di una settimana questo duro commento è stato ripetuto due volte dal vertice della diplomazia dell’isola. Venerdì scorso era stato espresso dal vice ministro degli Esteri, Carlos Fernández de Cossío alla fine della prima riunione ad alto livello con il governo statunitense sulla questione dell’emigrazione.

STATI UNITI e Cuba in passato tenevano riunioni periodiche su tale tema, importante per le due parti e occasione anche per valutazioni politiche delle relazioni. Il presidente Trump le aveva sospese nel 2018, dando inizio a una politica della mano dura contro il governo socialista dell’isola, rompendo la normalizzazione diplomatica voluta dal suo predecessore, Barack Obama. E rafforzando il blocco unilaterale economico- commerciale e finanziario contro Cuba in vigore dal 1962 con più di 240 nuove sanzioni e misure ostili.

SANZIONI E POLITICA volta a cambiare il governo di Cuba, sono state mantenute dall’attuale presidente democratico. Ed è contro questa linea di ingerenza che si è espresso lunedì il capo della diplomazia cubana, Bruno Rodríguez, il quale ha accusato l’amministrazione Biden di voler escludere Cuba dal prossimo Vertice delle Americhe che avrà luogo a Los Angeles dall’8 al 10 giugno. «Gli Stati uniti stanno facendo estreme pressioni sui governi (latinoamericani) che sono contrari a tale esclusione», ha affermato il ministro.

Il Dipartimento di Stato Usa ha risposto a tali accuse asserendo che «ancora non sono stati inviati inviti» per il Vertice. Ma non ha potuto smentire le accuse di fare pressioni affinché nella riunione dei rappresentanti dei governi del continente americano non si senta la voce di Cuba sui tre importanti temi in discussione: salute, emigrazione e democrazia e diritti umani. A decidere chi ha i titoli per partecipare ai lavori sull’ultimo tema è stata delegata infatti la direzione dell’Organizzazione degli Stati americani, Oea in acronimo spagnolo, a suo tempo definita da Fidel Castro «il ministero delle colonie degli Usa» e, per non smentire questo giudizio, direttamente implicata, per rimanere in anni recenti, nel golpe in Bolivia del novembre 2019 contro il governo socialista di Evo Morales.

Nelle ultime settimane il radicalizzarsi della guerra in Ucraina, ormai come aperto scontro tra Usa-Nato e Russia, fa presagire nuovi equilibri mondiali strategici, come pure commerciali e monetari. In questo quadro sia la Casa Bianca, sia il Pentagono convengono sulla necessità di ripristinare il controllo degli Stati uniti su quello che definiscono «l’emisfero occidentale» ovvero l’America a sud del Rio Bravo.

Il Dipartimento di Stato si incarica delle pressioni politico-economiche, secondo l’analista argentino Jorge Elbaum. Nelle ultime due settimane nel mirino è stato il presidente messicano Andrés Manuel López Obrador, accusato di non essersi allineato alla politica di boicottaggio della Russia e di essere un alleato di Cuba. La critica dell’amministrazione Biden è rivolta a due importanti misure decise dal governo messicano: la nazionalizzazione dei giacimenti di litio e la Ley de la Industria Electrica.

LA NAZIONALIZZAZIONE del litio – Il Messico ha il 2,3% delle riserve mondiali- fa temere alla Casa bianca una sua possibile utilizzazione da parte di imprese cinesi. La misura potrebbe essere impugnata perché viola alcuni accordi compresi nel T-MEC, il trattato di libero scambio tra Usa, Canada e Messico firmato durante la presidenza Trump. Chi spinge per minacce diplomatiche è la Tesla del miliardario e neo boss di Twitter, Elon Musk, il quale teme la concorrenza di auto elettriche prodotte dalla Cina.

Lo stesso Musk fu accusato (nel luglio 2020) di essere implicato nel golpe in Bolivia, paese che ha le maggiori riserve (21 milioni di tonnellate) del prezioso minerale indispensabile per le batterie dei veicoli elettrici. Alle accuse Musk rispose (su Twitter): «We will coup whoever we want! Deal with it>>. (Organizzeremo golpe dove vogliamo. Fatevene una ragione).

Pressioni sono state esercitate anche su Panama, dove si sono recati il Segretario di Stato Antony Blinken e Alejandro Mayorkas (Sicurezza nazionale) per chiedere restrizioni al transito nel canale di navi che trasportino prodotti cinesi e russi. Richieste respinte dal governo di Panama, aperto a investimenti cinesi nelle infrastrutture portuali.

SECONDO ELBAUM, un allineamento rispetto al boicottaggio alla Russia è stato invece ottenuto dal nuovo governo progressista di Xiomara Castro presidente di un Honduras troppo dipendente dai finanziamenti e dalle rimesse provenienti dagli Usa. Un parziale cedimento alle pressioni Usa è avvenuto anche da parte del presidente argentino Alberto Fernández, sotto la minaccia di boicottare gli accordi col Fmi.

Per contrastare i massicci investimenti cinesi soprattutto in infrastrutture, gli Usa propongono una nuova ondata di delocalizzazione (nearshoring) «per dare impulso alla crescita del subcontinente» latinoamericano –sempre che possa assicurare salari da fame e mercati interni ridotti.

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