Cuba socialista è in crisi. La crisi peggiore e più pericolosa degli ultimi trent’anni. I segnali si moltiplicano. Ma la cancellazione della gigantesca celebrazione del Primo maggio in piazza della Rivoluzione ne è la conferma. I milioni di cubani che sfilavano nelle piazze sono stati come il marchio di fabbrica della Revolución di Fidel Castro. Dal fatidico 1959, la piazza è rimasta deserta il primo maggio solo nei due anni di Covid-19.

È stato il segretario generale del sindacato dei lavoratori, Ulisses Guillarte de Nacimiento a annunciare in tv che la sfilata di lunedì sarà sostituita da una manifestazione minore lungo il malecón (lungomare) del centro dell’Avana e da varie piccole iniziative di quartiere nella capitale e in tutte le città delll’isola. La causa è la drammatica «mancanza di carburante» che da qualche settimana ha semiparalizzato l’isola. Il presidente Miguel Díaz-Canel – appena riconfermato nella carica – ha cercato di recuperare scrivendo su Twitter che una grande voce (rivoluzionaria) sarà sostituita da «molte piccole voci».

MA QUESTA NOTA di ottimismo appare fuori tono. Innanzitutto alle decine di migliaia di cubani che passano ore – come succede a chi scrive – in coda per un pieno di benzina che magari, quando si è in vista del distributore, svanisce quando il responsabile della pompa apre le braccia e escalama il temuto «se acabó», è finita la benzina.
Il ministro dei trasporti Vicente de la O Levy ha ripetuto anche venerdì che non si arriverà al «punto zero», ovvero a lasciare a secco le pompe di benzina. Ma si procederà al razionamento, 40 litri per ogni mezzo di trasporto, solo in alcune stazioni di servizio della capitale.

MA PIÙ che rassicurare la gente, la decisione ha stimolato la nota capacità cubana di inventar, trovare mezzi di ogni tipo per individuare la pompa che funziona e conquistare i migliori posti di una coda che si estende per centinaia di metri. Arrivando col serbatoio vuoto (o svuotato succhiando la benzina mentre si è in coda). Vi è poi chi «si dedica» a fare la coda e vende la benzina conquistata a 3-400 pesos il litro, cioè a quasi venti volte il prezzo ufficiale.

IL PRESIDENTE cubano ha ammesso la gravità quasi senza precedenti della crisi del carburante che avrà una pesante ripercussione nell’agricoltura, nel commercio e nella distribuzione di beni e servizi. Dunque nel Pil. Ma Díaz-Canel ha voluto mettere in chiaro che la responsabilità di questa situazione si divide tra un embargo Usa, reso micidiale dal presidente Trump e in gran parte mantenuto da Biden, e dal «mancato adempimento» degli accordi stipulati con i fornitori di petrolio e derivati (Cuba produce solo il 40% circa del greggio di cui necessita e per di più di qualità bassa).

IL FATTO CHE il Venezuela abbia quasi dimezzato – da 70mila barili/giorno a poco più di 40mila – le forniture di greggio (a costi di favore) a Cuba è noto da circa un anno. Però Díaz–Canel ha voluto precisare che tale situazione è dovuta «alla complessa situazione energetica internazionale», non certo a un incrinarsi dell’alleanza bolivariano-fidelista. Così,negli ultimi giorni, specie in provincia dove la crisi è ancor più grave che nella capitale, circola la voce che a non mantenere gli impegni sia stata l’Algeria, sotto pressioni di Washington.

È UNA BOLA (una bufala), commenta Raffaela Cruz, l’economista di punta di un quotidiano online della destra cubano-spagnola. L’Algeria, afferma, fornisce a Cuba solo 2 milioni di barili l’anno. E conclude ripetendo il mantra della contra di Miami sull’«ultimo chiodo nella bara del castrismo». Che in questo caso verrebbe piantato dal presidente del Venezuela Nicolás Maduro, impegnato a trattare con gli Usa per la sua sopravvivenza.

Per evitare il collasso dei trasporti a Cuba è intervenuto il presidente messicano Andrés Manuel López Obrador che nei giorni scorsi ha inviato nell’isola due navi cisterna della messicana Pemex. Venerdì veniva segnalata una petroliera, la Cheetah II probabilmente proveniente dalla Russia, che stava scaricando nel porto di Matanzas il diesel necessario per la produzione dell’energia elettrica.

LA CRISI ENERGETICA aggrava, come detto, la crisi strutturale di Cuba, soprattutto la scarsa capacità produttiva sia dell’industria sia dell’agricoltura statalizzate, ben lungi dal soddisfare le esigenze della popolazione. Proprio la scarsità di beni di prima necessità alimenta un’inflazione che il governo non riesce a controllare. Per limitarsi a un esempio il prezzo del riso – alimento fondamentale nella dieta del paese – è cresciuto del 23% nelle ultime settimane, nonostante robuste donazioni arrivate dal Vietnam.

Il vertice politico di Cuba – appena rinnovato in blocco nonostante il disastroso esito delle riforma economico-monetaria Tarea ordenamiento – deve affrontare due priorità: riforme strutturali e esplorare la possibilità di migliorare i rapporti con l’amministrazione Biden, che pone come precondizione la questione dei «prigionieri politici» nell’isola.
Su quest’ultimo punto mercoledì scorso vi è stata una riunione di Díaz-Canel con i vescovi cattolici, nel corso della quale è stata affrontata anche la questione di un’amnistia per gli arrestati durante i moti del luglio 2021.