Cronaca studentesca di un’assemblea nel deserto politico
«Ciò che rende bello il deserto è che da qualche parte nasconde un pozzo». Per provare a descrivere il percorso che abbiamo condotto in questi anni difficili – e quello […]
«Ciò che rende bello il deserto è che da qualche parte nasconde un pozzo». Per provare a descrivere il percorso che abbiamo condotto in questi anni difficili – e quello […]
«Ciò che rende bello il deserto è che da qualche parte nasconde un pozzo». Per provare a descrivere il percorso che abbiamo condotto in questi anni difficili – e quello che continueranno a percorrere migliaia di studentesse e studenti in tutto il Paese – abbiamo scelto questa frase tratta da “Il Piccolo Principe” di Saint Exupery, con la quale abbiamo intitolato la nostra VI assemblea nazionale, alla Facoltà di Ingegneria dell’università La Sapienza, il 23 e 24 aprile.
La nostra è una storia breve ma affonda le sue radici nell’esperienza ormai più che ventennale del sindacalismo studentesco. Una prospettiva diventata sempre più chiara perché non c’è un ordine sequenziale tra il piano d’intervento sindacale e l’approccio generale, tra la vertenzialità, il mutualismo e la partecipazione ai movimenti: questi ambiti si sono infatti evoluti di pari passo, seguendo sicuramente diverse evoluzioni e un processo di profonda maturazione ma senza mai scadere nell’approccio studentista o nella banalizzazione genericista. «È più importante Maastricht o le nostre solitudini e i nostri desideri?», è un frammento di uno dei primi Coordinamenti nazionali dell’Unione degli Studenti riportato in un articolo di allora.
Il nostro logo è una ’C’ rovesciata, simbolo del copyleft: dietro di essa si cela il fatto che l’integrazione della conoscenza nei processi produttivi da un lato e la privatizzazione e la precarizzazione dei luoghi della formazione dall’altro, due processi integrati nella più complessiva ristrutturazione del capitalismo contemporaneo, hanno messo progressivamente al centro della scena i saperi e la loro recinzione, mercificazione, parcellizzazione, subordinazione alle logiche del profitto.
È necessaria una rappresentanza generale, la costruzione di un laboratorio di nuova alfabetizzazione e partecipazione politica per costruire l’alternativa e uscire dalla nostra condizione di precarietà e subalternità. Agendo sulle condizioni materiali e sull’immediato, certo, ma allo stesso tempo spostando in là, verso l’idea e la pratica di un altro mondo possibile, l’orizzonte delle aspettative.
Questo fine settimana abbiamo avuto il compito non facile di fare il punto della situazione per rilanciare l’azione della Rete in una fase storica che ci colloca all’intreccio tra due crisi, quella della forma sindacato e dell’oggetto movimento, che sono parte della più generale riarticolazione dell’economia, della società e del mondo.
Abbiamo rivisitato alcuni grandi temi della nascita del sindacato politico in Italia, alla fine dell’800: il ruolo centrale del mutualismo e degli spazi di aggregazione, l’attenzione alla confluenza tra processi di sindacalizzazione e di politicizzazione, l’estensione territoriale dell’azione sindacale, le relazioni a rete. Per noi l’azione sociale o è politica, o si pone su un piano generale, o cessa di esistere: e se il sociale non può essere meramente corporativo e il politico non può essere esclusivamente elettorale soluzioni come la ricostruzione della cosiddetta ’cinghia di trasmissione’ o la glorificazione dell’autonomia assoluta del sociale dal politico sono evidentemente anacronistiche. Quello che serve è capire come costruire ponti, reti di esperienze e progettualità condivise, anche perché forze e tempo a disposizione sono pochi.
Pensiamo che sia necessario interpretare la nostra ispirazione sindacale innanzitutto come spirito di coalizione perché dobbiamo fare fronte a quella frammentazione costituente che attraversa la società e la nostra stessa soggettività. L’unica risposta è stare insieme per destituire le ingiustizie e le disuguaglianze strutturali presenti nelle nostre esistenze, per costruire libertà e autonomia nella formazione, nel lavoro e nella vita. Dobbiamo dare spazio alla ricchezza della vita, che, come ci ha insegnato un maestro come Pietro Ingrao, «non è misurabile con alcun metro di mercato», una ricchezza sulla quale la politica, la decisione collettiva, deve tornare ad avere uno sguardo più lungo di quello del mercato. Per qualcuno la società non esiste: la Rete della Conoscenza, con l’impegno e le ambizioni di migliaia di studentesse e studenti, vuole dimostrare il contrario.
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