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Crisi alimentare, i profittatori della fame

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Nuova Finanza pubblica La rubrica settimanale a cura di Nuova Finanza pubblica

Pubblicato più di 2 anni faEdizione del 4 giugno 2022

Gli ultimi avvenimenti della guerra attuale si intrecciano con le prospettive di una nuova crisi alimentare globale: Russia e Ucraina sono fra i maggiori esportatori di grano – secondo i dati Fao rispettivamente il primo e il quinto a livello mondiale – e tanto l’interruzione delle coltivazioni sul campo quanto il trasporto delle derrate già pronte subiscono le conseguenze del conflitto.

Il porto di Odessa, l’unico importante rimasto a Kiev è bloccato, lo snodo logistico per il commercio di tale derrata è un obiettivo strategico per i russi quanto per gli ucraini; e senza un accordo fra le parti sarà difficile ripristinarne la funzionalità.

I media occidentali hanno visto bene di inquadrare la situazione con titoli altisonanti quali Putin affama gli africani: la Federazione Russa ha dichiarato di accettare di collaborare per sbloccare la rotta a patto che gli Stati occidentali le tolgano le sanzioni.

Per capire la questione occorre partire da un quadro più generale: secondo il recente 2022 Global Report on Food Crises – frutto della collaborazione dei maggiori organizzazioni internazionali, da Fao a Wfp, e simili – il numero di persone denutrite è aumentato tanto in termini assoluti che relativi dal 2016 (e quindi non può essere determinato dal semplice aumento demografico), soprattutto concentrati in un piccolo numero di paesi (soprattutto Siria, Afghanistan, Congo, Yemen, Etiopia, Sudan).

Su questo scenario drammatico si innestano i problemi che la crisi del Covid ha visto per i problemi di approvvigionamento (l’incepparsi della famose catene globali del valore) e le risultanze della guerra in Ucraina, che secondo il report aumenterà il numero di affamati di 47 milioni.

foto farina somalia
Una commerciante di farina a Mogadiscio, in Somalia – foto Farah Abdi Warsameh /Ap

Quali sono le ragioni? Il meccanismo non è dissimile da quello visto per le materie prime di carattere energetico. L’interruzione della fornitura di grano – largamente prevedibile – da parte dei due paesi che assieme ne producono il 28% (20% Russia, 8% Ucraina) spinge in alto i prezzi. Ma lo squilibrio fra offerta (in diminuzione) e domanda produce un effetto prima che la carenza si faccia sentire nei fatti.

Perché? Il mercato globale di cibo è un settore limitato rispetto alla totalità degli alimenti esistenti (la maggior parte degli alimenti viene prodotta e consumata nello stesso paese) ma in crescita costante e altamente innervato da processi tipicamente capitalistici sul piano dei diritti di proprietà intellettuale, produzione, commercializzazione ecc.

Ma soprattutto è presente una forte componente di finanziarizzazione: il prezzo è fissato in borsa (la più famosa è quella di Chicago, dal 2019 denominata NYSE Chicago) e subisce tutte le classiche dinamiche speculative: la pressione sul prezzo per via delle aspettative di mercato, l’uso della materia prima come base per vari prodotti finanziari, e simili.

Come nota un rapporto di McKinsey, i futures sul grano sono aumentati del 40% fra febbraio e marzo scorsi. Si tratta di contratti che fissano il prezzo per un acquisto futuro, e potevano essere usati nelle pratiche commerciali convenzionali per assicurarsi contro un rialzo imprevisto. Ma se vengono venduti prima che la stessa transazione si compia, la differenza fra il prezzo fissato e quello che si determina sulla merce reale portano a realizzare un profitto che prescinde dal bene reale. E quando gli acquirenti diventano molti, ciò incide sul prezzo di esso, il cui costo lievita (o scende) a prescindere dalla materia prima sottostante.

L’incertezza determinata dalla guerra è il terreno di coltura ideale per tali pratiche, ed infatti nella prima settimana di marzo i fondi legati alle materie agricole hanno ricevuto 4,5 miliardi di investimenti.

Tale è il risultato di non aver sufficientemente regolato tale settore dopo le disastrose risultanze di un decennio fa, anche per il lobbismo della International Swaps and Derivative Association, l’infingardo gruppo dei maggiori speculatori che ha fatto pressioni tanto sulle autorità statunitensi che europee, per cui il ruolo dello zar russo è nel migliore dei casi quello di una pallidissima comparsa.

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