Il Bunkier Sztuki è una galleria d’arte cittadina ma non chiamatela kunsthalle. Le cose stanno così almeno da quando il rifugio dell’arte, con sede a Cracovia progettato da Krystyna Tolloczko-Rózyska, una collezione permanente ce l’ha eccome. L’ultima donazione da parte della famiglia Starmach ad autunno scorso ha arricchito ulteriormente la raccolta con pezzi pregiati di Tadeusz Kantor, Magdalena Abakanowicz e Wladyslaw Hasior. «Daj mi wszystko», ovvero in italiano, «dammi tutto» è il titolo di un dipinto di Jadwiga Sawicka, entrato nella raccolta ma anche quello dell’esposizione che presenta al pubblico le ultime acquisizioni dello spazio cracoviano (visitabile fino al 1º settembre 2024).

Il bunker artistico attualmente diretto da Delfina Jalowik ha riaperto i battenti dopo la grande ristrutturazione dell’ultimo triennio. Inaugurato l’11 settembre del 1965, il Bunkier Sztuki era stato concepito come la vetrina della sezione cracoviana dell’Ufficio centrale delle esposizioni artistiche (Cbwa). La collocazione della struttura nel tracciato di Planty, la cintura verde che circonda la Città Vecchia, fu una scommessa rischiosa ma aveva delle ragioni precise. L’edificio doveva essere una tappa intermedia a metà strada tra il Castello del Wawel e la stazione centrale.

Inoltre era affacciato in parte su Plac Szczepalski, a due passi dalla sede cittadina dell’agenzia di viaggi statale Orbis, sosta obbligata dei bus carichi di turisti polacchi e stranieri. Per molti il bunker dell’arte era come un corpo estraneo, sul cui inserimento nel tessuto cittadino in pochi avrebbero scoperto un centesimo, o meglio un grosz (centesima parte dello zloty polacco ndr). Sono trascorsi quasi 60 anni, e un rigetto dopo il trapianto non c’è mai stato. Da queste parti sono passate le sculture di Henry Moore e le immagini shock dai centri di detenzione per migranti riprese con telecamera termica di Richard Mosse.

Ciò nonostante, in questa sede si continua a dare la precedenza agli artisti polacchi, soprattutto quelli della terza via come Adam Rzepecki che ha operato negli anni Ottanta senza il sostegno della chiesa polacca o delle autorità socialiste. Il Bunkier Sztuki ha anche ospitato personali dedicate a nomi più giovani che nella generazione dei Millenials ci rientrano per un pelo, quali Karol Radziszewski, esponente di spicco della queer art e l’artista femminista Malgorzata Markiewicz con le sue installazioni ragnesche in tessuto. In tutti questi decenni il Bunkier Sztuki ha resistito alle mode e ai governi, ma soprattutto è rimasto in piedi nei difficilissimi anni Novanta durante la transizione dal comunismo all’economia di mercato.

Eppure, guai a definirlo un luogo di resistenza. Storicamente non lo è mai stato. Non era di certo qui che venivano allestite le wystawy walizkowe, le «mostre valigia» messe in piedi di nascosto nei sottoscala del Paese sulla Vistola dopo l’introduzione della legge marziale. Tuttavia il Bunkier Sztuki la sua specificità, delineatasi nel corso di decenni di osmosi con la città, se la vuole tenere ben stretta. «Vogliamo ridefinire la nostra identità rispetto agli altri spazi cittadini. A Cracovia funzionano diversi musei e gallerie private. Noi puntiamo tutto su 4 parole d’ordine: arte contemporanea, «indigenità», collaborazione e formazione», spiega Jalowik. In un certo senso, per i cracoviani di nascita o adozione, il Bunkier Sztuki è ormai il biglietto da visita della città ma ne è anche lo specchio in cui vedono riflessi se stessi. La struttura ha riaperto anche se manca ancora all’appello la pergola della caffetteria museale, da sempre un importante luogo di ritrovo.

Ogni proposta di cambiamento suscita emozioni forti da queste parti. In molti hanno già criticato la copertura del padiglione a lavori non ancora conclusi. Anche il fronte brutalista dell’edificio era finito sotto gli strali dell’opinione pubblica all’epoca dell’apertura. Ma il tempo è galantuomo, anzi donna galante. E Jalowik e la sua squadra si stanno rimboccando le maniche per realizzare le prossime mostre: «Alla fine di settembre inaugureremo in contemporanea due nuove personali in collaborazione con la Fondazione Arti Visive, molto diverse per stile e tematiche toccate.

La prima dedicata al fotografo Konrad Pustola, l’altra alla pittrice cracoviana Olga Pawlowska». Tra i progetti del compianto Pustola spicca quello intitolato «Le viste del potere», un album di fotografie scattate dalle finestre di alcuni tra i polacchi più influenti nella storia recente del paese: dall’ex presidente della Repubblica di Polonia Bronislaw Komorowski, passando per la poetessa Wislawa Szymborska, fino a giungere al cineasta Andrzej Wajda. Viene voglia di affacciarsi dal primo piano del Bunkier Sztuki ma, paradossalmente, così facendo si finisce col perdere di vista l’elemento più identificativo dell’edificio, almeno su un piano estetico: la facciata sfrontatamente sporgente ad opera di Antoni Hajdecki, realizzata colando il cemento in una cassaforma in legno solo a fini decorativi.