Tante colpe, nessun colpevole. Dopo l’ennesima sentenza di assoluzione, in questo caso di Alessandro Profumo e Fabrizio Viola “perché il fatto non sussiste” dall’accusa di falso in bilancio e aggiotaggio sul filone delle indagini che riguardavano la contabilizzazione dei derivati Santorini e Alexandria, almeno sul piano penale le indagini sul crack del Monte dei Paschi non hanno portato ad individuare alcun responsabile.
L’ex presidente della banca (nel periodo 2013-16) e attuale ad di Leonardo, insieme all’ex ad di Mps, erano stati condannati in primo grado. Ma le loro presunte responsabilità sono state cancellate dalla Corte di appello di Milano, che di fatto scrive la parola fine sulle inchieste legate al fallimento della più antica banca del mondo.

Un fallimento legato, come evidenziato all’epoca nelle audizioni di magistrati e dirigenti di Bankitalia alla commissione parlamentare di inchiesta, ad una crisi di sistema, una “tempesta perfetta” che in quegli anni assai turbolenti amplificò i problemi di una banca fin troppo generosa nell’erogare credito, visti i 160 miliardi di picco nel biennio 2009-10, ed anche malgestita, vista la quantità doppia di titoli del Tesoro rispetto alle sue concorrenti.

A dare il colpo definitivo all’istituto di credito senese fu comunque l’acquisto nel 2008 di Antonveneta dagli spagnoli di Santander, costato circa 10 miliardi di euro, più altri 6 miliardi di debiti in pancia alla banca padovana. Un cattivo affare, sottolinearono nelle audizioni a San Macuto anche i magistrati della procura di Milano che indagavano sul crack: “Non è stato possibile per Mps effettuare una due diligence completa: è stata comprata una banca a scatola chiusa, ed è stata una decisione infelice”.

Non penalmente rilevante però, visto che due mesi fa la Cassazione ha reso definitive le assoluzioni degli allora vertici di Mps, fra cui l’ex presidente Giuseppe Mussari e l’ex dg Antonio Vigni, per presunte falsità contabili in alcune operazioni di finanza strutturata realizzate tra il 2008 e il 2012. Quelle denominate Alexandria, Santorini, Chianti Classico e Fresh, che secondo le accuse erano state fatte per coprire le perdite generate dall’acquisto di Antonveneta. In quella circostanza, tutti gli imputati si erano difesi dicendo che nulla era stato occultato e nessun trucco contabile utilizzato.
Assoluzione generale anche per la cosiddetta “banda del 5%” broker esterni ma anche interni come Gian Luca Baldassarri, ex capo area finanza Mps, che erano accusati di fare la cresta sui contratti finanziari della banca.
Il crack del Monte dei Paschi è costato complessivamente circa 30 miliardi, tra risorse perse dal mercato con aumenti di capitale, e fondi pubblici stanziati dall’appena nato governo Gentiloni alla fine del 2016 per nazionalizzare temporaneamente la banca. Una temporanea nazionalizzazione che, se fatta subito dopo l’apertura ufficiale della crisi (e delle inchieste) all’inizio del 2013, ne avrebbe con tutta probabilità dimezzato i costi finali.