Il contributo delle epidemie allo sterminio delle popolazioni indigene a vantaggio dei coloni europei è noto. L’antropologo Jared Diamond lo sintetizzò efficacemente nel titolo Armi acciaio e malattie, un saggio di ormai venticinque anni fa. La questione però non appartiene al passato: cinque secoli dopo l’incontro con i visi pallidi, i nativi americani continuano a morire di virus molto più della popolazione di origine europea.
Lo certifica uno studio appena pubblicato sulla rivista Demographic Research, secondo cui l’aspettativa di vita dei nativi è calata di 4,5 anni nel 2020 e di 6,4 nel 2021. La ricerca è stata realizzata dalle ricercatrici statunitensi Noreen Goldman dell’università di Princeton e Theresa Andrasfay (università della California del Sud).

GLI STATUNITENSI che si dichiarano «nativi americani» sono circa il 2% della popolazione, e anche prima della pandemia la loro aspettativa di vita – 72 anni – era inferiore alla media nazionale di circa 80 anni. Con la pandemia, il divario si è allargato ancora. L’aspettativa di vita tra i nativi è calata infatti a 67 anni nel 2020 e a 65 nel 2021. Con un ulteriore svantaggio per i maschi: in condizioni di pandemia, un nativo americano nato nel 2021 è destinato a vivere appena 62 anni. «Questa aspettativa di vita – scrivono le autrici dello studio – è nettamente inferiore a quella di qualunque altro paese di Nord- e Sudamerica, con l’eccezione di Haiti dove l’aspettativa arriva a 64 anni. E molti anni al di sotto dei valori osservati prima della pandemia in India, Pakistan o Nepal.
Il dato definito «scioccante» dalle ricercatrici conferma che la pandemia ha colpito in modo assai diverso i vari sottogruppi etnici.

NON È UNA NOVITÀ. Studi precedenti avevano mostrato che il Covid-19 ha causato la perdita di un anno di vita nella popolazione bianca e di tre anni in quella ispanica e afro-americana. Il tasso di mortalità tra i nativi è stato tre volte più elevato rispetto ai bianchi, con fortissime differenze legate allo status sociale: un indigeno delle Hawaii con un basso livello di scolarità ha un tasso di mortalità dodici volte più elevato rispetto a una donna asiatica con un alto livello di istruzione. Ma il dato dei nativi rivela come, in un paese avanzato, possano nascondersi sacche di sottosviluppo.

«I Nativi americani continuano a soffrire di ampie disuguaglianze sociali, economiche e sanitarie, molte delle quali persistono da secoli», spiegano Goldman e Andrasfay. Tra i fattori di rischio, citano «l’alto tasso di povertà», «il lavoro a basso reddito che non può essere svolto a distanza», l’alto tasso di malattie croniche e il basso livello dell’assicurazione sanitaria e di un servizio sanitario che fornisce «cure inadeguate e spesso inaccessibili». Molti nativi non possono permettersi un’assicurazione sanitaria privata, come la maggior parte degli statunitensi. E per le cure devono affidarsi all’Indian Health Service, un’agenzia governativa pubblica (e sottofinanziata) che dovrebbe fornire assistenza sanitaria ai discendenti delle tribù indigene.