«Covid-19, per noi saharawi l’unica arma è prevenire»
Algeria/Marocco Intervista a Jira Bulahi, ministra della salute della Rasd: «Nei campi profughi le risorse sono poche, quarantena per chi arriva da fuori e autoproduzione di mascherine e gel. Nei Territori occupati le autorità marocchine non fanno nulla per la popolazione saharawi»
Algeria/Marocco Intervista a Jira Bulahi, ministra della salute della Rasd: «Nei campi profughi le risorse sono poche, quarantena per chi arriva da fuori e autoproduzione di mascherine e gel. Nei Territori occupati le autorità marocchine non fanno nulla per la popolazione saharawi»
I campi profughi saharawi si trovano nel deserto a Tindouf in Algeria. Secondo le ultime stime, nelle diverse wilaya (province) vivono oltre 200mila rifugiati. La pandemia di Covid-19 ha messo in seria difficoltà la fragile economia della zona, basata sul commercio, ma soprattutto sulla fornitura di aiuti umanitari – inviati principalmente dall’Unhcr e da numerose ong, anche italiane– fondamentali per la sopravvivenza in un territorio così inospitale.
Ne abbiamo parlato con Jira Bulahi, neo-ministra della sanità pubblica della Repubblica Araba Democratica Saharawi (Rasd).
Qual è la situazione nei campi profughi attualmente riguardo al Covid-19?
La situazione attuale nei campi è stata abbastanza buona in questi mesi, ma dalla settimana scorsa abbiamo avuto i primi quattro contagi, due decessi e stiamo aspettando i risultati dei tamponi per altre 20 persone. Tutte le persone che provengono dall’area di Tindouf e dall’esterno vengono poste in isolamento: l’unica maniera per poter fronteggiare l’epidemia con le nostre modeste risorse sanitarie. Da subito il Comitato nazionale per la prevenzione del virus Covid-19 ha impostato un programma di prevenzione e di sensibilizzazione in tutti i campi, mostrando alla popolazione la necessità di aderire a tutte le misure di contenimento per prevenire la pandemia.
Che misure sono state prese per contenere la pandemia e come sta reagendo la popolazione?
Abbiamo inevitabilmente chiuso i confini e tutte le missioni delle diverse ong impegnate nei campi sono rientrate nei rispettivi paesi. Abbiamo attivato una campagna di sensibilizzazione, informazione e prevenzione – attraverso l’utilizzo di televisione, radio e social – tra la popolazione, con la chiusura di scuole e la misura del distanziamento sociale. All’inizio la popolazione ha avuto difficoltà ad accettare qualcosa di sconosciuto che ha sconvolto la loro vita, ma gradualmente ha compreso la gravità della situazione e di pericolo per la nostra sopravvivenza.
Quali sono le strutture ospedaliere e sanitarie all’interno dei campi profughi?
Abbiamo dovuto fare del nostro meglio con le modeste strutture di cui disponiamo. In ogni wilaya c’è un presidio sanitario, poi abbiamo un ospedale nazionale più grande e un ospedale da campo. In ogni campo profughi sono stati allestiti dei Centri di quarantena con l’obiettivo di isolare le persone con sintomi sospetti. Abbiamo agito anche sulla formazione del nostro personale sanitario, attraverso il supporto dell’Organizzazione Mondiale della Sanità, dell’Unione Africana, dell’Africa-Cdc e delle ong. L’Oms ci sta sostenendo per il reperimento di attrezzature di protezione sanitaria individuali, di materiale di igiene e disinfezione nonché di medicinali specifici. Stiamo anche cercando di sopperire alla carenza di dispositivi come mascherine o gel alcolico, producendoli autonomamente.
Notizie dai Territori Occupati sui contagi e sulle misure di contrasto anche per la popolazione saharawi?
C’è molta preoccupazione. La pandemia ha colpito pesantemente il Marocco, ma nelle aree occupate le autorità d’occupazione non hanno preso alcun provvedimento per contenere i contagi, con l’obiettivo di diffondere il virus e tentare di colpire il nostro popolo. Molti dei coloni sono rientrati nel regno marocchino e Rabat, al contrario, non esita a inviare persone, potenzialmente infette, con pescherecci e camion per continuare a sfruttare le nostre risorse ittiche o di fosfati. Di fronte a questa difficile situazione si aggiunge il blocco legato all’ingresso di operatori umanitari per monitorare la situazione anche dei contagi (attualmente non risultano dati forniti da Rabat all’Oms riguardo alla pandemia nei Territori occupati del Sahara Occidentale, ndr) e le autorità di occupazione stanno reprimendo con violenza tutte le manifestazioni di protesta del nostro popolo.
Qual è la situazione dei prigionieri politici saharawi nelle carceri marocchine?
La situazione resta purtroppo allarmante, con la continua violazione dei diritti umani nei confronti dei prigionieri politici saharawi. Numerose testimonianze ci parlano di torture, del divieto di visita da parte dei familiari e, in questo momento di pandemia, del rischio concreto di contagio a causa dell’assenza di qualsiasi forma di prevenzione. Proprio per questo motivo è stata lanciata una campagna per la loro liberazione da parte di numerosi parlamentari europei e da diverse ong, appello sostenuto anche da Michelle Bachelet, Alto Commissario Onu per i diritti umani. La pressione internazionale verso il regime marocchino deve restare costante per monitorare la situazione dei prigionieri saharawi, le cui condizioni di detenzione sono ulteriormente aggravate dalla pandemia Covid-19 e dalle notizie di contagi in alcune carceri del Marocco.
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