Covid-19, locuste, alluvioni, siccità, e conflitti: tutto fa malnutrizione in Etiopia
L'emergenza alimentare «Secondo l’iniziativa Cost of Hunger in Africa, guidata dalla Commissione dell’Unione africana, in Etiopia la malnutrizione costa il 13,5% del prodotto interno lordo», spiega da Addis Abeba Filippo Dibari, nutrizionista ed esperto in sanità pubblica che lavora per il Programma alimentare mondiale (Wfp)
L'emergenza alimentare «Secondo l’iniziativa Cost of Hunger in Africa, guidata dalla Commissione dell’Unione africana, in Etiopia la malnutrizione costa il 13,5% del prodotto interno lordo», spiega da Addis Abeba Filippo Dibari, nutrizionista ed esperto in sanità pubblica che lavora per il Programma alimentare mondiale (Wfp)
In Etiopia, un pasto che abbia una quantità sufficiente di macro e micronutrienti costa fino a quattro volte di più rispetto a una dieta che soddisfa il solo fabbisogno in calorie. Così, considerando il potere d’acquisto (che è una questione di prezzi e reddito), nel paese si stima che mentre il 93% delle famiglie ha le risorse per procurarsi una quantità sufficiente di cereali – teff, frumento mais o sorgo -, la percentuale di chi può accedere ad alimenti ricchi in vitamine, oligoelementi, proteine, lipidi è fino a quattro volte inferiore, e scende fino al 20% nelle regioni Somali, Gambella e Afar.
I PROGRAMMI DI AIUTO alimentare continuano a esprimersi in kilocalorie, anche se molti cibi vengono fortificati. Eppure, «secondo l’iniziativa Cost of Hunger in Africa, guidata dalla Commissione dell’Unione africana, in Etiopia la malnutrizione costa il 13,5% del prodotto interno lordo», spiega da Addis Abeba Filippo Dibari, nutrizionista ed esperto in sanità pubblica che lavora per il Programma alimentare mondiale (Wfp) ed è coautore del bollettino Cost and affordability of nutritious diet bulletin. La pubblicazione, prodotta dall’istituto governativo Ethiopian Public Health Institute e preparato con il sostegno tecnico del Wfp e della sua analisi Fill the Nutrient Gap (Fng), aiuta a capire la sfida nutrizionale in un popoloso paese africano che spesso affronta emergenze. Il 2020 le ha viste tutte: effetti collaterali della crisi sanitaria Covid-19, locuste, alluvioni, siccità, conflitti.
L’accesso al cibo avviene attraverso gli acquisti in ambito urbano o, prevalentemente, l’autoproduzione nelle aree rurali. Nel primo caso, dipendendo dalle difficoltà e dai prezzi delle filiere di approvvigionamento, le famiglie a basso reddito hanno sofferto in modo particolare l’impatto economico-logistico della crisi sanitaria.
GLI AGRICOLTORI, INVECE, sono soggetti alle alee climatiche e naturali. Dal giugno 2020 in poi molte regioni sono state devastate dalle locuste, giunte in piena stagione del raccolto, distruggendolo. In questi casi, una volta finite le scorte di cereali e legumi, non ci sono nuove risorse alle quali attingere. Nello stesso periodo gravi inondazioni hanno colpito in particolare le regioni Ahmara e Oromia, provocando altri danni all’agricoltura, morti di animali, distruzioni delle infrastrutture e spostamento di molte famiglie.
QUANDO IN UN’AREA e in un paese la maggioranza degli abitanti è economicamente incapace di procurarsi cibo nutriente, sono vitali i programmi di integrazione del reddito come lo statale Psnp, che fra luci e ombre è il secondo per grandezza in Africa, e ovviamente gli aiuti alimentari a situazioni e famiglie in difficoltà.
Un progetto significativo è stato sperimentato in Etiopia durante la crisi da Covid-19: il Wfp ha applicato una formula antica, all’insegna della filiera corta, ma declinata nella modernità: un voucher inviato tramite cellulare alle famiglie vulnerabili, che possono spendere la somma in ortofrutta e uova presso i mercati locali.
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