Il «colpo di teatro» arriva dopo una lunga sequela di parole, applausi e lacrime «modulati» da Virginie Efira, madrina della serata inaugurale del Festival di Cannes 75; la standing ovation per Forest Whitaker coronata dalla consegna della Palma d’oro alla carriera all’attore, regista e produttore americano; il discorso commosso di Vincent Lindon, presidente della giuria tutta sul palco; e soprattutto i riferimenti costanti alla libertà, a quei cineasti e artisti dissidenti o che con la loro arte si oppongono alla brutalità del potere – e il riferimento più che esplicito è alla guerra in Ucraina e al boicottaggio dei registi e dei rappresentanti dei media legati al governo russo deciso dal festival.

ED ECCO che all’improvviso, introdotto da Efira, sullo schermo del Grand Auditorium Lumiere appare il presidente ucraino Zelensky nel frame che in questi mesi abbiamo imparato a conoscere, accolto da lunghissimi applausi. Parla di cinema, di Chaplin e del Grande dittatore che ha saputo raccontare a tutti il nazismo – «Il cinema non deve rimanere muto», ha affermato – e di quella guerra esplosa all’improvviso nel loro Paese che ha cambiato per sempre le loro vite. Il nome del presidente russo non viene mai pronunciato – è piuttosto la parola dittatore che ricorre. Insieme a morte, violenza, devastazione. Ci dice ancora una volta dei cadaveri raccolti nelle strade, dei bambini uccisi a centinaia, delle persone torturate o deportate o sparite chissà dove, e che la loro battaglia è per la libertà. Il Festival si apre dunque così, con l’Ucraina e Julienne Moore chiamato a dichiararne l’inizio ufficiale. Il film scelto da Frémaux è Coupez! – in contemporanea nelle sale francesi – di Michel Hazanavicius al quale tra l’altro proprio l’associazione dei registi ucraini ha chiesto di cambiare titolo, almeno nella versione francese – l’internazionale di Final Cut è rimasta tale – da quel «Z» originario che rimandava alla lettera sbandierata sui carrarmati russi dando l’impressione di celebrare l’«operazione speciale» di Putin in Ucraina.

IL VECCHIO TITOLO però ci diceva subito dove eravamo: che film è infatti Coupez! se non di zombie? Una meta-commedia sulle riprese di un film di «genere» – un riferimento che piace tanto ai festival in questi ultimi anni – compresi i titoli di testa che guardano alle produzioni di «serie B» anni Settanta, e più che all’immaginario dei morti viventi in sé, di cui per sua ammissione Hazanavicius dice di non essere particolarmente appassionato – anche se di film ne ha visti moltissimi per fare questo a cominciare da quelli di Romero – l’idea sembra quella di lavorare su quel metodo produttivo artigianale, del basso costo e alta resa, scuola Roger Corman, in cui l’energia è la ricchezza con cui rispondere alla mancanza di mezzi.

«UN OMAGGIO al cinema e al suo farsi, al suo quotidiano, alle persone che lo realizzano» lo ha definito il regista di The Artist. Solo che Hazanavicius non è Tarantino (e tantomeno Corman) e questo suo avventurarsi su terreni che gli sono visibilmente lontani se non antitetici è tutto sbagliato sin dalle prime sequenze che esibiscono un piano sequenza (ma con «taglietti») di 32 minuti. Siamo su un set di un film di zombie, il regista isterico (Roman Duris) massacra l’attrice (Matilda Lutz) – «Sei nulla» le grida – che al trentunesimo ciak non trova il giusto tono di interpretazione, e schiaffeggia l’attore. Vuole la paura e non sente nulla. Nel posto deserto in cui girano, la truccatrice (Berenice Bejo) spiega che si dice sia abitato da strane presenze, durante la guerra l’esercito giapponese ha fatto lì degli esperimenti con i morti. È chiaro che i «veri» zombie si materializzano presto divorando un po’ di crew e finendo per mischiarsi agli attori. L’ispirazione di Hazanavicius è stata un film horror giapponese, Zombie contro zombie di Shinichiro Ueda nell’Arcipelago era divenuto un caso che gli permette lavorare sul remake, cifra da lui prediletta sin da The Artist, giocando coi generi tra molti ammiccamenti al presente. L’artigianato appunto che scompare, la piattaforma che aveva commissionato il film, l’imprevisto delle riprese… Il punto però è che a Hazanvicius quella libertà di cui fa citazione manca, non ha il gusto del rischio e dell’improvvisazione, tutto è calcolato per piacere – e per assecondare un gusto già pre-esistente. Il contrario della magnifica invenzione di quel mondo che cita, di cui il suo film non è neppure pallida fotocopia.