«Costosa burocrazia». La cerimonia a uso di Putin
Amministrative in Russia Kiev e le cancellerie occidentali hanno denunciato le elezioni nei territori ucraini occupati
Amministrative in Russia Kiev e le cancellerie occidentali hanno denunciato le elezioni nei territori ucraini occupati
Il mese scorso, parlando con il New York Times, il portavoce del Cremlino, Dmitri Peskov, si è lasciato andare una rara ammissione sul significato delle elezioni in Russia: da noi, ha detto, «non si tratta davvero di democrazia, ma di costosa burocrazia». La smentita successiva, peraltro timida, non cancella l’impressione che il paese sia chiamato al voto proprio in queste ore per rispettare una scadenza amministrativa, anziché per affermare la sovranità del popolo rispetto alle pretese di un autocrate. In teoria nel fine settimana milioni di cittadini dovrebbero scegliere ventisei governatori, una ventina di parlamenti locali e tre deputati della Duma. In pratica, però, bolleranno nomine stabilite a Mosca nella cerca ristretta del presidente, Vladimir Putin.
È SOPRATTUTTO a Putin che questa cerimonia serve. Nella tornata delle amministrative non cerca il consenso genuino dei russi, bensì la prova che il paese è serenamente sotto la sua guida. A fine giugno Evgeny Prigozhin aveva messo in discussione con l’ammutinamento del Gruppo Wagner la solidità del sistema di potere putiniano come mai era accaduto nei vent’anni precedenti. Sono passati soltanto due mesi. Prigozhin ha perso la vita in un misterioso incidente aereo e le sorti della sua milizia sono incerte. Per completare l’opera è necessario chiudere le elezioni senza disordini e senza opposizione.
IL VOTO RIGUARDA circa la metà del territorio russo, la Crimea e le quattro province ucraine di Donetsk, Lugansk, Zaporizhzhia e Kherson. In gioco ci sono quattromila poltrone a tutti i livelli dell’amministrazione pubblica. Il governo ucraino e le principali cancellerie occidentali hanno denunciato con forza le elezioni nei territori occupati. A Kiev la Rada ha affermato con una dichiarazione che il voto è paragonabile a un’azione di guerra. «I russi costringono la gente a votare e qualunque cosa accada alle urne si parlerà comunque di una vittoria schiacciante di Putin», ha detto Kira Rudik, la leader del partito ucraino Golos. Nei territori occupati l’esercito ha usato droni per lanciare volantini con cui si chiede di non andare alle urne. Questi eventi hanno spinto i rappresentanti dei paesi occidentali alle Nazioni unite ad aprire un aspro confronto con la Russia: «Non potete indire elezioni in alti paesi», ha detto l’ambasciatrice britannica Barbara Woodward al collega russo Vassily Nebenzia.
Proprio la guerra è stata usata da Putin per spegnere gli ultimi focolai di opposizione interna. La grande maggioranza dei partiti sostiene apertamente l’impegno militare in Ucraina. I liberali di Yabloko sono i soli a correre con uno slogan che dice: «Per la pace!». In questa campagna molti dei suoi candidati hanno subito minacce. Per il segretario, Nikolay Rybakov, «ci sono dozzine di schieramenti che sostengono le politiche di Putin, e soltanto Yabloko si oppone». Nessuno si aspetta, quindi, di assistere alle sconfitte, numericamente ridotte ma significative sul piano politico, che il partito di governo, Russia Unita, aveva incassato alle ultime amministrative, nel 2018. La sola incognita per il Cremlino riguarda la remota Khakassia, una repubblica siberiana con mezzo milione di abitanti. Lì il leader uscente, Valentin Konovalov, trentasei anni, del Partito comunista, dovrebbe ottenere la conferma. Il favorito di Putin, Sergei Sokol, ha abbandonato la corsa ufficialmente per problemi di salute, ma più probabilmente perché consapevole dell’enorme popolarità di cui Konovalov gode.
NELLE REGIONI periferiche è in corso un’ambigua prova di fedeltà. In Yakutia è praticamente scontato il secondo successo di Aisen Nikolaev, che ha ottenuto la benedizione di Putin anche per il contributo in termini di volontari che è riuscito a garantire a quella che in Russia ancora chiamano operazione militare speciale. «Siamo un milione e siamo tutti pronti a morire per Putin: questa è la differenza fra noi e l’occidente», ha detto alla vigilia delle elezioni Aleksander Kolesov, il primo militare yakuto premiato come eroe di guerra. Le sue parole hanno sollevato anche ironia in patria. Sui social network alcuni hanno scritto: proprio a causa della guerra oggi siamo meno di un milione.
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