Costarica, pura vida senza Sergio
Storie Nel paese «più felice al mondo» un mese fa è stato ucciso l’attivista Sergio Rojas Ortiz, coordinatore del Fronte nazionale delle popolazioni indigene. Una storia di violenze e soprusi che comincia negli anni ’70
Storie Nel paese «più felice al mondo» un mese fa è stato ucciso l’attivista Sergio Rojas Ortiz, coordinatore del Fronte nazionale delle popolazioni indigene. Una storia di violenze e soprusi che comincia negli anni ’70
Il paese della Pura Vida, la Costa Rica, conosciuto come paese pacifico e come uno dei paesi più felici al mondo, ha questa volta attirato l’attenzione internazionale per un crimine non giustificabile. Il 18 marzo 2019, l’attivista indigeno, Sergio Rojas Ortiz, è stato assassinato nella sua casa nella comunità di Yeri, un territorio della regione di Salitre, situato al sud della Costa Rica, a circa 4 ore dalla capitale Buenos Aires.
SERGIO ORTIZ ERA UN MEMBRO fondatore e coordinatore del Fronte nazionale delle popolazioni indigene (FRENAPI), e leader politico della comunità dei Bribri; un uomo esperto di diritto nazionale e internazionale che si batteva per i diritti della sua gente attraverso mezzi legali e pacifici. Infatti con la sua lotta instancabile e costante era riuscito a ridistribuire alla sua comunità, il 70% dei territori espropriati.
La lotta della popolazione indigena del Costa Rica, sia a Salitre che a Terráza, nella provincia del sud di Puntarenas, ha origine negli anni ’70 quando le comunità di Bribri e Teribe si videro sottrarre i loro territori da grossi proprietari terrieri e dalle società nazionali e transnazionali. Da allora le comunità hanno lottato in maniera pacifica per riscattare i territori, e per il riconoscimento della loro cultura.
I TERRITORI INDIGENI SONO PROTETTI dalla Ley Indigena del 1977 che ne proibisce l’affitto, l’acquisto e lo sfruttamento, ma di fatto, la legge non è stata in grado di bloccare le incursioni delle compagnie minerarie, del legname, farmaceutiche, dei gruppi alberghieri e allevatori che deforestano per dare spazio ai pascoli. Per questo motivo le comunità indigene hanno iniziato a discutere sulla possibilità di promulgare una nuova legge, la Ley dello sviluppo autonomo per la gente indigena, che riconosce la comunità come primo ente politico dei loro territori, e che distingue ogni aspetto della loro vita, dalla gestione del territorio all’economia, dalla sanità all’istruzione, per arrivare alla politica. Il progetto di legge, che è stato redatto su iniziativa degli stessi popoli indigeni – e approvato sia dal Tribunale Elettorale Supremo (TSE) che dal programma di sviluppo delle Nazioni Unite (UNDP) – è purtroppo rimasto bloccato al Congresso per più di 20 anni. Nel 2010, in una delle riunioni dell’Assemblea legislativa, dove si discuteva e si richiedeva l’approvazione della legge per l’ennesima volta, il gruppo di indigeni venne violentemente espulso.
«IL TERRITORIO E’ NOSTRO, la legge esiste, pero il governo non l’ha mai voluta approvare. Dobbiamo farlo noi con le nostre mani» – commenta Magdalena Figderoa, di El Puente, a Salitre, in un video pubblicato da Radio Tembler. «A me non interessa che il governo ci abbia espulso da lì, poiché io non ho niente là che mi appartiene, ciò che mi appartiene è qui nel mio territorio. Come loro si sono permessi di espellerci dall’Assemblea senza alcun diritto e di buttarci sulla strada…allora io dico che è per me più facile mandar via un bianco dal mio territorio, perché loro hanno dove vivere. A me non mi possono mandare via perché io vivo qui. Dove mi mandano, se io sto a casa mia e nella mia terra?».
STANCHI DELLE INEFFICACI RISPOSTE legislative, dal 2010 la comunità Bribri di Salitre ha iniziato un percorso di rioccupazione dei territori. Di fatto il tema dell’occupazione illegale nelle terre indigene è un tema altamente discusso in Costa Rica sin dagli anni ’60. Secondo alcuni studi menzionati in un report del 2014 di Forest People Program, Violaciones de los Derechos territoriales de los Pueblos Indigenas: el ejemplo de Costa Rica, più del 40 per cento delle terre indigene sono occupate illegalmente; secondo il censimento del 2000 il numero degli indigeni che ha subito sfratti e violenze sin dagli anni ’60 ammonta a 9.645, mentre sono circa 6.000 le persone non-indigene che occupano i loro territori.
L’omicidio di Sergio Rojas non è giunto inaspettato. Il leader attivista era ormai da anni minacciato per le sue attività nella rioccupazione dei territori indigeni. Le numerose denunce non sono mai state accolte, tanto che una risoluzione ufficiale adottata dal Consiglio Comunale di Buenos Aires dichiarò l’attivista come «persona non gradita». Tale dichiarazione ha contribuito ad aumentare l’odio e a giustificare le azioni violente contro le comunità indigene. Una di queste avvenne nel settembre 2012, quando un gruppo di persone irruppe con armi da fuoco nell’ambito di una riunione organizzata dal popolo Bribri a Salitre, causando diversi feriti; seguirono altre violenze nel 2013, e nel novembre 2014, Sergio Rojas venne arrestato e detenuto per ben 7 mesi , con l’accusa di presunta amministrazione fraudolenta.
Le Nazioni Unite, in diversi comunicati hanno richiesto «la risoluzione del conflitto nel quadro della legalità, garantendo il diritto agli indigeni nel loro territorio». Profonda preoccupazione è stata inoltre espressa dal Comitato sull’Eliminazione della Discriminazione Razziale delle Nazioni Unite (CERD), che ha più volte richiesto alla Corte Suprema Costaricense di porre fine al conflitto.
L’OMICIDIO DI SERGIO ROJAS non è un evento isolato. In America Latina, ogni giorno sono numerose le aggressioni o gli omicidi verso leader indigeni che difendono le loro terre dall’invasione del «bianco», e dalle attività estrattive da parte di compagnie transnazionali, spesso alleate con gli stati latini. Costa Rica ha un trascorso simile a quello di altri stati che sono stati vittime della colonizzazione, iniziata nel 1492 con l’invasione europea. In queste terre la colonizzazione passò attraverso un processo violento, vi furono stupri, saccheggi vite spezzate e territori depredati. Queste vicende, oggi quasi dimenticate, sono celate dietro il velo di una falsa democrazia, che in realtà non è mai riuscita ad inglobare le popolazioni indigene nel suo discorso di uguaglianza e multiculturalità.
DIVERSE FORME DI RAZZISMO continuano ad essere presenti nel paese, penetrando nei comportamenti del bianco costaricense, che spesso considera l’indigeno, lo scuro, il pellerossa come «il diverso». Una nuova forma di colonialismo neoliberale sta penetrando nei sistemi giuridici e democratici, ledendo e violando quegli stessi diritti umani e quei principi di uguaglianza promulgati di fronte alla legge. Nonostante la Costa Rica si sia fatta portavoce di questi principi, appoggiando legalmente i diritti delle comunità indigene e riconoscendo loro identità culturale, non è mai riuscita a difenderli e sostenerli. Di fatto il suo discorso appare retorico e al servizio di una democrazia postcoloniale che continua ad essere utile per lo sviluppo dei centri urbani e di una classe bianca medio alta.
La Costa Rica della Pura Vida ha perso un fratello, Sergio Rojas, assassinato perché rappresentava un pericolo e un’opposizione alla casta economica politica locale e agli interessi del nord globale.
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