Si aggiunge un nuovo capitolo giudiziario alla vicenda di Alfredo Cospito. Dopo il diniego della Cassazione alla revoca del suo 41bis, la nuova mossa del suo avvocato Rossi Albertini è un ricorso al tribunale di sorveglianza di Milano per richiedere la sospensione del carcere duro per motivi di salute: andrebbe ai domiciliari da una delle sue sorelle. L’anarchico, infatti, giunto a 140 giorni di sciopero della fame, lunedì è stato nuovamente trasferito nella sezione carceraria dell’ospedale San Paolo di Milano. L’udienza si terrà il 24 marzo.

SI TRATTA DI UNA decisione molto delicata e in passato più volte i tribunali della libertà si sono espressi contro il differimento di pena nei casi in cui lo stato critico di salute risulti «autoindotto». È probabile, in questo senso, che verranno disposti esami psichiatrici: qualora venisse riscontrato un disturbo mentale, cadrebbe l’ipotesi dell’autoinduzione. Rossi Albertini, ad ogni buon conto, sembra vedere le cose da un altro punto di vista: «Lui non ha vocazione suicida, sta facendo una battaglia per la vita. Trascorrere anni al 41bis è una non vita». Secondo il legale, poi, Cospito sarebbe «molto provato ma lucido». L’ultimo bollettino medico parla di un innalzamento anomalo di potassio, probabile conseguenza della decisione del 55enne di sospendere gli integratori. Attualmente l’anarchico assume solo acqua, sale e zucchero.

Intanto il Comitato Nazionale di Bioetica ha reso noto il parere sui quesiti posti il 6 febbraio dal ministero della Giustizia sulla possibilità di somministrare cure a un detenuto anche senza il suo consenso. I documenti sono tre, a testimoniare quanto la discussione sia stata estesa e non abbia prodotto un’opinione univoca.

IL PRIMO, CHE HA OTTENUTO 19 voti su 33, fa prevalere il «favor vitae»: «In caso di imminente pericolo di vita, quando non si è in grado di accertare la volontà attuale del detenuto, il medico non è esonerato dal porre in essere tutti quegli interventi atti a salvargli la vita». Eventuali disposizioni anticipate di trattamento sarebbero «incongrue e dunque inapplicabili, ove siano subordinate all’ottenimento di beni o alla realizzazione di comportamenti altrui, in quanto utilizzate al di fuori della ratio della legge» sul testamento biologico. In sostanza, le disposizioni hanno valore solo per motivi terapeutici e non, ad esempio, se condizionate dalla volontà di ottenere qualcosa in cambio (come la revoca del carcere duro).

IL SECONDO DOCUMENTO, che ha ricevuto 9 voti, afferma invece che «la nutrizione e l’idratazione artificiali possono essere rifiutate anche mediante le Dat e la pianificazione condivisa delle cure». A pesare sarebbe dunque il diritto a vivere senza dover subire trattamenti sanitari contro la propria volontà, «un principio costituzionale fondamentale del nostro ordinamento». Il terzo documento (2 voti), pur condividendo nella sostanza le istanze del secondo, dice che «un intervento del legislatore è la via obbligata, comunque stretta per vincoli e giurisprudenza costituzionale» perché c’è «la necessità di offrire un esplicito e chiaro riferimento normativo a chi si troverà a prendere queste decisioni, a partire dai medici».

Tutto il Comitato di bioetica, in ogni caso, afferma di non avere «alcuna legittimità giuridica, politica, morale ed etica per formulare un parere ad personam», dunque ogni risposta ha carattere generale e astratto. La decisione sulla vita (e sulla morte) di Cospito spetta al ministero della Giustizia.