Così Putin ha perso il monopolio della forza
Russia oggi La crisi potrebbe anche terminare nel volgere di qualche ora. Le conseguenze, però, potrebbero rimanere a lungo
Le incredibili immagini dei carri armati nella città meridionale di Rostov, del mercenario Evgenii Prigozhin a colloquio con due generali arrivati da Mosca e delle truppe cecene richiamate per chetare un ammutinamento riportano la Russia alla guerra tra le montagne del Caucaso, e quindi al punto esatto in cui Vladimir Putin, alla fine degli anni Novanta, ha ricevuto il paese dal suo predecessore, Boris Eltsin.
I tempi, è chiaro a tutti, sono diversi, così come Putin è differente da Eltsin. Eppure in questa crisi si avverte l’odore di giorni che i russi e gran parte di quelli che la Russia conoscono erano convinti di avere oramai per sempre alle spalle.
Putin, proprio come era accaduto a Eltsin, affronta un pericoloso problema sul piano della credibilità e della legittimazione. Il messaggio con cui ieri si è rivolto al paese per denunciare il tradimento di Prigozhin, senza mai citarne apertamente il nome, ha spinto se possibile il Cremlino su una posizione di ulteriore chiusura. Non solo verso le minacce esterne, vere o presunte che siano, con cui la Russia convive da tempo. Ma anche nei confronti di nemici interni sempre più numerosi e sempre più vicini.
Prima gli oligarchi infedeli e la loro sete personale di ricchezza; poi i partiti, i giornali, e le organizzazioni liberali al servizio di potenze straniere; adesso un gruppo paramilitare finanziato per la verità dagli apparati statali, armato dalla Difesa e ricompensato con i massimi onori per gli orrori compiuti in Ucraina.
Per di più la minaccia di una «punizione inevitabile» che Putin ha rivolto in modo indiretto a Prigozhin rischia di rimanere senza il minimo seguito. Prigozhin ha ordinato ai suoi in serata di fare ritorno nelle basi assegnate, ufficialmente per evitare spargimenti di sangue. Il che rende credibile l’ipotesi di un accordo i cui termini sono per ora sconosciuti, ma che verosimilmente dovrebbe comprendere garanzie per il Gruppo Wagner e per il suo fondatore, destinati sino all’altro ieri a passare nella migliore delle ipotesi sotto il completo controllo delle forze armate russe, oppure nella peggiore a finire fra gli obiettivi da distruggere, e magari qualche cambiamento ai vertici della Difesa.
La crisi, insomma, potrebbe anche terminare nel volgere di qualche ora. Le conseguenze, però, potrebbero rimanere a lungo. Spingendo un anno fa l’esercito oltre i confini dell’Ucraina, Putin ha scelto la violenza per risolvere le controversie, ed è la violenza oggi il solo strumento a disposizione dei suoi interlocutori, esterni o interni che siano. Aprendo alle formazioni paramilitari sostenute da potenti locali o da grandi industrie, ha rapidamente eroso il principio del monopolio della forza su cui si basa non solo la verticale del suo potere politico, ma la stabilità dell’intero paese.
La Russia rischia per così dire di passare da un sistema federale a uno feudale. Questa potrebbe essere l’ultima riforma di Putin.
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