«Così Bukele vuole silenziare le voci critiche»
El Salvador Deriva autoritaria: chi informa sulle gang giovanili va in carcere. «O peggio». Parla Carlos Dada, direttore di El Faro
«Siamo nati agli albori di Google nel 1998 come piattaforma giornalistica digitale, senza fini di lucro, crescendo negli anni in credibilità e riconoscimenti internazionali grazie alla nostra totale indipendenza. Se così non fosse con questo governo saremmo già finiti in prigione; o peggio».
È Carlos Dada che parla, fondatore e direttore del salvadoregno El Faro, il primo quotidiano online latinoamericano, costretto ormai a una sorta di semiclandestinità per le minacce del giovane presidente Nayib Bukele; che dopo lo stato di eccezione (prorogato di un mese nei giorni scorsi) ha decretato dai 10 ai 15 anni di carcere per quei giornalisti che si avventurassero a informare sul fenomeno delle bande giovanili in El Salvador.
«E dire che Bukele quando era in corsa per la presidenza – ricorda Dada – parlava solo con noi perché tutti gli altri media lo boicottavano. Poi, da quando è stato eletto, ha cominciato a smantellare le istituzioni democratiche rivelandosi autoritario, populista e corrotto. E noi ne abbiamo sempre informato, compreso quando è riuscito a sottomettere il potere giudiziario. Da allora cerca di silenziare ogni voce critica, a partire dalla nostra».
In che modo?
Imponendo una narrativa unica con notizie false e infamandoci via twitter. Sono due anni che siamo bersaglio dei suoi attacchi. Ma soprattutto abbiamo scoperto che da tempo intercetta sistematicamente i cellulari di ciascuno/a di noi. Siamo quindici fra redattori e collaboratori, per lo più giovani, dei quali due hanno dovuto per prudenza riparare all’estero; mentre due nostri editor non salvadoregni sono stati espulsi dal paese. E ora che le pandillas hanno incrementato gli omicidi ci accusa di legami con loro e di essere dei nemici del popolo che speculano sul sangue dei salvadoregni.
Ma dopo i governi di destra e di sinistra che avevano alternato senza risultati repressione a tregue concordate, con Bukele il tasso di assassinii di queste bande si era abbassato significativamente.
Sta proprio qui il problema. El Faro ha scoperto e denunciato con tanto di documentazione ufficiale come non fosse il fantomatico “Piano di Controllo Territoriale” varato da Bukele che stava funzionando, bensì una serie di trattative segrete fra il governo e i capi delle maras in carcere per alleggerire la persecuzione nelle zone da loro controllate, le condizioni di detenzione e persino sconti di pena. Da quel momento ci ha accusati di avere fabbricato tutto e di essere degli emissari delle bande stesse o comunque di fare il loro gioco. La popolazione non gradisce certo transazioni con le pandillas per le estorsioni, assalti e violenze di cui è quotidianamente vittima. Per questo Bukele ha negato quei negoziati. Poi qualcosa deve essere andato storto nei rapporti fra bande e autorità. Fino a prodursi inaspettatamente il record di uccisioni dell’ultimo fine settimana di marzo ad opera delle maras, che ha fatto scattare le durissime misure repressive, con l’arresto di oltre 17mila giovani ad opera di polizia ed esercito a lui fedelissimi; oltre all’indurimento delle condizioni carcerarie. Oggi basta avere un tatuaggio per finire in galera; anche i minori a partire dai dodici anni. Bukele si è così paradossalmente guadagnato l’immagine di primo presidente che combatte davvero le pandillas. Non a caso è ancora il capo di stato col maggior consenso in America Latina, con la sua strategia comunicativa imperniata sui social.
Come si spiega il fenomeno delle maras in El Salvador, Honduras e Guatemala?
Le maras sono giunte fin qui con giovani salvadoregni emigranti che si agganciavano alle bande dei messicani in California e che poi venivano deportati dopo aver scontato una pena negli Usa. In El Salvador trovarono le condizioni propizie di un paese prostrato dalla guerra civile, con armi in abbondanza, un tessuto sociale a pezzi e tanta povertà; oltre a dei governi totalmente assorbiti dal tentativo di costruire un’istituzionalità democratica accettabile. Bande che via via si sono sofisticate, imparando a relazionarsi da posizioni di forza con i governi di turno.
Quale dovrebbe essere l’approccio per affrontare la questione delle maras?
Da giornalista posso solo raccontare ciò che vedo tutti i giorni. Ma certo la soluzione di questo tragico fenomeno non possono essere le retate o la devastazione delle loro abitazioni. Al contrario bisogna andare alla radice e portare salute, istruzione e lavoro nei loro territori, dove invece lo stato è completamente assente. Una volontà che Bukele non sta affatto dimostrando. Come del resto non l’avevano mostrata i governi corrotti della destra che l’hanno preceduto. Ma anche quelli della ex guerriglia, tanto impegnati a lucrare sugli aiuti del petrolio venezuelano. Bukele è il risultato della frustrazione dei salvadoregni che avevano sperato in un miglioramento delle loro condizioni di vita. Tanto che oggi quei partiti non esistono quasi più. Salvo qualche protesta o manifestazione popolare ogni volta ostacolata dagli apparati di sicurezza.
Chi è rimasto dunque a fare opposizione?
In parlamento Nuevas Ideas, il partito di Bukele, gode della maggioranza assoluta dei due terzi dunque non c’è partita. Devo riconoscere invece che l’Associazione dei giornalisti del Salvador, con molto coraggio, è impegnata nella difesa del diritto dei cittadini ad essere informati. Ma in prima linea e in completa solitudine c’è sempre l’Università centroamericana dei gesuiti (Uca) come ai tempi del passato conflitto quando, per mano dei militari, pagò con la vita di sei di loro. Mentre un ritratto di San Oscar Romero martire si staglia alle spalle di Bukele strumentalmente ogni volta che parla dal palazzo presidenziale.
Le ultime misure di Bukele sono anche la reazione per scongiurare l’immagine di un paese violento e insicuro che allontanerebbe gli investitori in moneta digitale, dopo che El Salvador è stato il primo paese al mondo ad adottare legalmente il bitcoin.
Quello del bitcoin è un azzardo di difficile comprensione. La situazione finanziaria del paese è al collasso. Bukele non sa come pagare gli stipendi dei dipendenti pubblici. E la tanto annunciata collocazione dei Bitcoin Bond continua ad essere rimandata perché in realtà non ci sono compratori. Il presidente finirà col rubare le nostre pensioni.
Quali sono i rapporti del governo con la storica imprenditoria oligarchica?
Bukele è lui stesso di origine imprenditoriale anche se proveniva dalle fila della ex guerriglia, tanto da esserne stato eletto sindaco di San Salvador. Oggi è tutta un’altra cosa. La sua è una logica del “o con me o contro di me”. Diversi imprenditori si sono schierati con lui; altri stanno a guardare; altri ancora sono già andati a investire all’estero. Come del resto se ne stanno andando accademici, ex giudici, artisti… Anche perché è a tutti chiaro che presto farà modificare la costituzione per farsi rieleggere.
E come vedi il futuro di El Faro?
Il nostro è un giornalismo costoso per le inchieste e i documentari che realizziamo in tutto il Centro America. Siamo sopravvissuti grazie agli abbonamenti, la pubblicità e la cooperazione internazionale. Ora abbiamo perso gli inserzionisti interni che hanno il timore di rappresaglie. Per di più ci dobbiamo servire di costosi avvocati specialisti in vari rami del diritto per difenderci dalle intimidazioni e dalle denunce delle autorità. Ci auguriamo di poter contare sempre sui nostri lettori e sul sostegno e la solidarietà internazionale. Ma ci aspettiamo di tutto e siamo pronti a tutto.
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