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Cosa resta del lavoro libero nell’economia digitale

Cosa resta del lavoro libero nell’economia digitaleUna protesta dei rider di Deliveroo, Londra 2016

Dalle Dot.Com a Uber e Deliveroo La forza lavoro non è sottomessa totalmente, secondo l'immaginario Black Mirror, ma ci pone ancora la sfida di pensare a e studiare le potenzialità e capacità di lotta e resistenza, di creazione e emancipazione aperte dalla socializzazione tecnologica

Pubblicato quasi 7 anni faEdizione del 27 gennaio 2018

Sono ormai passati quasi vent’anni da quando le cosiddette dot.com iniziarono a dire che il loro modello economico si basava sulla valorizzazione della partecipazione degli utenti (moderatori o animatori di forum e giochi online) e della loro loro capacità di produrre contenuti (testi, audiovisivi ma anche modifiche di videogiochi). Fino alla metà degli anni novanta, Internet era stato un medium a predominante finanziamento pubblico che si reggeva soprattutto sul lavoro di ingegneri e scienziati – incluso quello delle donne «computer». La commercializzazione di Internet a partire dalla metà degli anni novanta, invece, era stata presentata da subito come l’inaugurazione di una nuova fase non solo del medium in quanto tale, ma più in generale dell’economia di mercato. L’idea che il lavoro degli utenti costituisse parte integrante di questo modello sottolineava sia l’abbondanza della forza lavoro digitale e del plusvalore cognitivo e affettivo distribuito nelle masse inter-connesse che la capacità di tale forza lavoro di innescare una svolta del modo di produzione capitalista in quanto tale.

IL SIGNIFICATO di free labor in quanto concetto di matrice operaista stava nell’ambivalenza insita nel diventare gratuito e volontario della forza lavoro, cioè di quella capacità di produrre del lavoro vivo intesa non solo come spesa energetica, ma come forza sociale e virtuale, capacità espressiva e relazionale. La forza lavoro post-fordista nel suo insieme, avevano suggerito i pensatori post-operaisti, è caratterizzata dalla mobilitazione e crescente socializzazione del linguaggio e degli affetti, delle forze del cervello e della memoria, del sistema nervoso e della percezione. Nel mondo anglofono, i cultural studies avevano documentato le straordinarie potenzialità espressive e la natura politica delle cosiddette forme di consumo, riconfigurando la produzione culturale non come semplice fruizione passiva di contenuti, ma come capacità di soggettivazione e lotta attorno ai significati. In questa relazione ambivalente, si pensava allora, forse era possibile trovare sia le tracce dell’arricchimento affettivo e cognitivo della forza lavoro post-fordista, che le nuove forme di cattura, e quindi possibilmente anche di lotta e emancipazione. D’altro canto, la sfida femminista all’economia politica marxista prodotta negli anni settanta a partire dalla rivalutazione della produttività fondamentale del lavoro domestico, aveva già sollevato la questione delle specifiche forme di asservimento e assoggettamento che hanno caratterizzato lo sfruttamento del lavoro volontario e gratuito delle donne.

VENTI ANNI DOPO, la nozione che l’economia digitale è sostenuta dal lavoro degli utenti è diventata praticamente senso comune, ma la situazione è anche enormemente mutata. Non abbiamo più a che fare con piccole aziende quali le originali dot.com, ma con il consolidarsi di titaniche concentrazioni di potere attorno a poche grandi multinazionali americane (Google, Facebook, Apple, Amazon) a cui si aggiungono mano a mano che nuovi mercati vengono ‘disintermediati’ nuovi monopoli di settore (quali Uber e Airbnb).

Il CAPITALISMO di piattaforma si caratterizza per la costruzione di infrastrutture tecniche, logistiche e sociali, mentre moltiplica forme eterogenee del lavoro e della produzione del valore e le integra attraverso spazi innervati e sostenuti da software, algoritmi e in generale dal lavoro di coding e di programmazione.

TUTTE LE FORME del lavoro (dal taylorismo al lavoro a cottimo, dal lavoro salariato a quello gratuito, da quello di cura a quello più meccanico e ripetitivo) sono dunque sempre più integrate dalla tecnologia creando nuove forme di comando e controllo. Eppure, ci sembra ancora oggi importante, ribadire che questa situazione non rappresenta la sottomissione totale della forza lavoro, secondo l’immaginario Black Mirror, ma ci pone ancora la sfida di pensare a e studiare le potenzialità e capacità di lotta e resistenza, di creazione e emancipazione aperte dalla socializzazione tecnologica o iper-socializzazione della forza lavoro nelle sue molteplici e eterogenee espressioni.

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