Cosa bolle nella «pentola» della solidarietà
Guatemala Quel che resta della «Olla Comunitaria», risposta dal basso all’emergenza sociale da Covid-19, che da «triste necessità» è diventata un modello di resistenza e contrasto alla violenza dei sistemi economici basati sull'esclusione
Guatemala Quel che resta della «Olla Comunitaria», risposta dal basso all’emergenza sociale da Covid-19, che da «triste necessità» è diventata un modello di resistenza e contrasto alla violenza dei sistemi economici basati sull'esclusione
«Una triste necessità». Bastano tre parole a Emilio, 35 anni, per definire la Olla Comunitaria (traducibile in Pentola Comunitaria), una delle esperienze solidali che durante l’emergenza Covid-19 hanno marcato in maniera significativa la percezione del centro storico di Città del Guatemala. Quando a marzo, per le misure di contenzione del virus, un piccolo bar chiamato Rayuela, situato a pochi passi dalla Casa Presidenziale, è stato costretto a chiudere, i gestori hanno deciso di cucinare le riserve di cibo che avevano in magazzino e offrirle alla comunità. Da un giorno all’altro, il piccolo bar lo si poteva leggere in un modo o in un’altro, seguendo l’ordine convenzionale o saltando la norma – proprio come il grande classico della letteratura latinoamericana da cui si è ispirato per il nome – e così nel tempo di una pagina si è trasformato da esercizio commerciale a mensa popolare e ha servito gratuitamente e per cinque mesi pasti caldi alle persone che non li avevano garantiti.
«Il primo giorno sono arrivati in 35, dopo due giorni 80 persone poi 100, 200 e poi il cibo ha cominciato a moltiplicarsi grazie alle donazioni e alla solidarietà della gente» racconta Emilio. E mentre aumentavano le donazioni, crescevano anche le persone volontarie che si coinvolgevano nel progetto: «Si è arrivati ad essere in 56». Saul è fra questi 56, ha 22 anni e si è avvicinato alla Olla Comunitaria grazie a un amico pittore e fotografo che stava dando visibilità sui social l’esperienza. «La fila cresceva di giorno in giorno, bisognava garantire il distanziamento, disinfettare gli spazi, gestire tutte quelle persone – ricorda Saul – mi sono presentato, mi hanno accolto bene e ho subito dato una mano dove c’era più bisogno». Dopo le prime due settimane si è arrivati a servire fino a mille pasti al giorno, «tra le 300 e 400 colazioni, e tra i 600 e 700 pranzi», segnala Emilio.
[do action=”citazione”]La fila di persone che aspettavano pazientemente un pasto caldo si snodava lungo la Sexta Avenida, una delle principali e più frequentate arterie commerciali della città, scivolava di fronte alla Casa Presidenziale per poi costeggiare i palazzi limitrofi e riempire le vie adiacenti.[/do]
«È stato come quando cade una bomba in un paese: si comincia raccogliendo i corpi e ripulendo le macerie. Non abbiamo avuto tempo di organizzarci. È stato come un terremoto, abbiamo dovuto affrontare l’emergenza con un approccio decisamente empirico e da neofiti, nessuno di noi aveva affrontato qualcosa di simile prima» racconta Emilio. Nonostante si sia trattato di un progetto spontaneo la Olla Comunitaria ha sempre mantenuto uno sguardo critico e autocritico nel suo agire, preferendo riflettere sulle contraddizioni politiche che hanno portato al sorgere di questa esperienza piuttosto che spingere l’acceleratore sul carattere assistenzialista della sua azione. «Siamo coscienti di non star risolvendo il problema, stiamo facendo quello che dovrebbe fare il governo, appoggiare la popolazione in difficoltà, garantire la dignità e la vita delle persone» continua Emilio, e della stessa idea è anche Saul: «Stiamo soltanto risolvendo nell’immediato un problema che ha radici molto profonde che affondano nella cultura e nella struttura del sistema e nell’ordine delle cose in cui viviamo e che è dominato dalla violenza economica».
L’imposizione del coprifuoco alle 16.00, le lamentele dei vicini che accusavano le persone volontarie di alimentare tossicodipendenti e delinquenti, le intimidazioni delle forze di polizia e il contagio di una delle persone volontarie ha costretto la Olla Comunitaria a ripensarsi e riflettere sull’impatto sociale delle sue azioni. Era diventato impossibile servire due pasti al giorno e si è valutato rischioso continuare a farlo al di fuori dei locali del bar Rayuela, per motivi di sicurezza e per ragioni dovute alla gestione degli spazi e al mantenimento delle distanze. Si è quindi deciso di spostare la distribuzione di cibo a qualche centinaia di metri dalla sede, nella piazza centrale di Città del Guatemala, in un luogo ancora più simbolico e visibile, di fronte al Palazzo Nazionale, con l’obiettivo di denunciare attraverso l’azione concreta l’inefficienza e l’irresponsabilità delle autorità di fronte a una situazione drammatica e a un enorme problema economico, politico e sociale.
Dopo cinque mesi di attività incessante, con un dispendio di energie e risorse umane incalcolabile è stata scelta la data del 15 settembre, giorno dell’Indipendenza, per porre un punto a questa esperienza, con un comunicato e un annuncio diffuso sui social: «Chiudere questo ciclo oggi è simbolico: Non c’è indipendenza da celebrare. Non c’è festa patria quando c’è la fame. Non c’è Stato o Governo che ci rappresenti. Il Guatemala ha fame, questa è la verità. Il Presidente si è preoccupato di più a intimidirci che a risolvere i problemi della fila della fame. Per costruire la patria bisogna prima riconoscere la realtà».
Il lascito di questa esperienza ha dimensioni non tangibili nell’immediato. Altre Ollas Comunitarias sono sorte in diverse città del Paese fino a travalicare i confini nazionali e giungere in Salvador. Una rete di solidarietà cittadina è venuta allo scoperto: c’è chi ha messo in prima linea il proprio corpo per restituire un po’ di dignità in una situazione sociale dura e spaventosa, chi ha cucinato a casa per contribuire, chi ha lavato le pentole, chi ha trasportato immondizia, chi ha consegnato più di 3000 borse di alimenti in zone urbane e rurali.
In cinque mesi l’impegno di tutte queste persone ha permesso di servire all’incirca 100 mila piatti caldi, di palliare anche se per poco tempo la violenza politica ed economica che soffrono moltitudini di persone in Guatemala e di denunciare attraverso l’azione e la solidarietà tutte le deficienze di una classe politica per la maggioranza classista e razzista legata a interessi alieni a quelli della gran parte popolazione.
Jordan Rodas, il Procuratore per i diritti umani in Guatemala, la più alta istituzione del paese in tema di diritti umani, ha applaudito e ringraziato l’operato della Olla Comunitaria e ha sollecitato il Ministero per lo sviluppo sociale a far fronte alla drammatica situazione d’emergenza in materia di sicurezza alimentare. Anche l’Onu ha segnalato l’impatto sociale della Olla Comunitaria selezionandola tra i 50 progetti di solidarietà più ispiratori in tutto il mondo e candidandola al Premio Solidarietà in Azione 2020. Ma il riconoscimento più significativo è arrivato dai messaggi di solidarietà delle persone che hanno ricevuto in questi mesi un pasto al giorno e da una parte della società civile guatemalteca che ha supportato fino alla fine questo progetto coraggioso. Un vero e proprio laboratorio politico e sociale capace di ribaltare con l’azione le retoriche e gli immaginari dominanti sul concetto di «povertà».
Ciò che rimane è un esperienza trasformativa, che ha coeso una comunità e ha dato segnali di speranza e di cambiamento, Saul la riassume così: «Per me la Olla è l’esempio vivo che con poche risorse economiche e umane si può fare molta differenza, certo si contribuisce anche a coprire in un certo senso le pessime decisioni politiche ed economiche dei gruppi dirigenti del Paese ma è necessario mitigare per qualche ora la fame delle persone affinché possano continuare a vivere e a lavorare».
Di «triste necessità» parlava Emilio all’inizio ed è impossibile dargli torto. Ma questa «triste necessità» ha rappresentato allo stesso tempo la possibilità di rifiatare e contrastare la violenza economica di un sistema che esclude e uccide, un’ancora di dignità a cui aggrapparsi per immaginare forme e pratiche di resistenza alternative all’oblio.
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