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Cop28, la speranza per un altro modello alimentare

L’Expo di Dubai foto ApL’Expo di Dubai – Ap

La Cop28 si è chiusa, è stato presentato il documento finale. Mentre la bozza di martedì sera sembrava recitare il de profundis per la specie umana, stralciando completamente il tema […]

Pubblicato 10 mesi faEdizione del 14 dicembre 2023

La Cop28 si è chiusa, è stato presentato il documento finale. Mentre la bozza di martedì sera sembrava recitare il de profundis per la specie umana, stralciando completamente il tema dell’uscita dai combustibili fossili, la versione definitiva lascia qualche speranza. Smettere di bruciare carbone, petrolio e gas, secondo gli scienziati, è l’unico scenario possibile per contenere la crisi e provare a salvare la nostra vita sul pianeta. In molti parlano di prospettiva irrealistica, perché il mondo vive e viaggia grazie ai combustibili fossili. Ma è proprio in nome di questo realismo che, finora, si è fatto poco o nulla, nonostante si sappia tutto da oltre sessant’anni. La nostra economia si basa sui combustibili fossili e le nostre vite sono regolate dall’economia. Perfino l’agricoltura, dal dopoguerra, ha iniziato a cibarsi di petrolio: non più rotazioni e biodiversità, ma fertilizzanti chimici di sintesi, pesticidi, macchinari sempre più potenti e devastanti per la salute del suolo.

L’economia, in sintesi, si ostina a ignorare le regole della biologia: «chi crede che la crescita possa continuare all’infinito in un mondo finito è un pazzo, oppure un economista» ha affermato Kenneth Boulding, economista pure lui, ma anche poeta e pacifista. Eppure i fatti sono evidenti: il 2023 è l’anno più caldo mai registrato; la concentrazione di anidride carbonica (424 parti per milione) è di tre punti più elevata rispetto al record del 2022; i ghiacci antartici sono ai minimi storici; dall’inizio della guerra in Ucraina, gli investimenti su petrolio e gas hanno ripreso a crescere; la domanda globale di carbone nel il 2023 ha raggiunto i livelli più alti da sempre.

La COP28 si è aperta in questo scenario. In uno stato, che secondo il Production gap report 2023 dell’Unep (Onu), ha programmato di aumentare la produzione di petrolio da qui al 2027, passando da 4 a 5 milioni di barili al giorno, con un investimento di 150 miliardi di dollari. Il finale, però, lascia quale spiraglio di speranza. Un fronte compatto di nazioni, anche grazie alla determinazione di piccoli stati insulari, è riuscito a portare a casa un risultato che è stato definito storico. Manca l’impegno esplicito di eliminare i combustibili fossili, ma si cita «una transizione dai combustibili fossili che sia giusta, ordinata ed equa, e un’accelerazione dell’azione climatica già nel decennio in corso, in modo da raggiungere la neutralità carbonica nel 2050».

C’è chi, analizzando il testo, sta scovando lacune, tranelli, scappatoie… Lo stesso concetto di «neutralità carbonica» andrebbe compreso meglio, perché la neutralità si raggiunge con la riduzione delle emissioni ma anche con le compensazioni. Soprattutto, ai documenti devono seguire politiche, azioni urgenti, per provare a recuperare gli anni persi. E serve mettere in discussione il modello attuale di sviluppo, produzione e consumo. Non basta cercare fonti alternative di energia.

Il cibo può diventare uno strumento potente di cambiamento culturale e politico, se torna a essere nutrimento e non merce di scambio. La riflessione che come Slow Food vorremmo aprire è su questo. Su un modello alimentare diverso, che si ricolleghi alla natura, al suolo, che si adatti alla diversità degli ecosistemi, alla disponibilità di acqua, al clima, alla storia e alla cultura locale, che riduca drasticamente gli sprechi e i rifiuti. Su regimi alimentari più equilibrati, che prevedano una riduzione del consumo di carne da allevamenti intensivi e un incremento dell’apporto proteico vegetale, tramite i preziosi legumi, che arricchiscono il suolo e richiedono poca acqua. Un sistema che produca salute e benessere, per noi e per il pianeta.

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