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Cop26, le promesse della finanza «verde» Ma le ong non ci credono

Cop26, le promesse  della finanza «verde» Ma le ong non ci credono

A Glasgow 450 istituti finanziari si impegnano a rispettare gli accordi di Parigi. «La City abbandonerà il carbone»

Pubblicato circa 3 anni faEdizione del 4 novembre 2021

Le promesse non sono mancate al terzo giorno della Cop26 di Glasgow. Il cancelliere dello Scacchiere, Rishi Sunak, ha annunciato che 450 istituti finanziari (banche, assicurazioni, gestori di patrimonio ecc.), con sede in 45 paesi e presenti nei 6 continenti, si sono impegnati a rispettare i termini dell’Accordo di Parigi e a attuare la transizione verso una finanza “verde” dal 2023, per raggiungere la neutralità carbonio nel 2050.

CI SARANNO piani annuali, con revisione degli obiettivi ogni 5 anni, secondo Sunak. Il paese ospite aggiunge: la City sarà «decarbonata», «il settore finanziario ha capacità di investire migliaia di miliardi» nella transizione verde, afferma il segretario economico del Tesoro, John Glen. Le 450 società finanziarie impegnate nella svolta rappresentano attivi per più di 130mila miliardi di dollari. Le ong hanno accolto con grande scetticismo questi annunci. «La City è lungi dall’essere un centro mondiale di finanza verde» ironizza l’ong 350.org. Per Reclaim Finance, «più di 130mila miliardi e non una sola regola per impedire che un solo dollaro sia investito nell’espansione delle energie fossili». La prova del grande momento di greenwashing a Glasgow viene da Bruxelles, dove un cosiddetto «no paper» rivela che la Ue è pronta a considerare il gas e il nucleare tra le energie di «transizione», quindi finanziabili attraverso investimenti «verdi» (a patto, per il gas, che emetta meno di 100 grammi di Co2 per kilowattora). Una «vergogna scientifica» secondo molti esperti. Del resto, i paesi del G20 (a cui partecipa la Ue con i più grandi paesi membri) hanno stanziato negli ultimi tempi 3300 miliardi di dollari nelle energie fossili, come se fosse un investimento per il futuro. In più, mentre la presidente della Commissione, Ursula von der Leyen, martedì ha proposto, con gli Usa, un «accordo globale» per tagliare le emissioni di metano, a cui hanno aderito più di 100 paesi, qualche ora dopo c’erano già le prime defezioni in casa europea: 8 paesi (Austria, Polonia, Ungheria, Romania, Slovacchia, Repubblica ceca, Lettonia, Lituania) hanno fatto subito sapere di non essere per nulla d’accordo a intervenire sul metano e si sono tirati fuori.

I SOLDI sono al centro. La direttrice dell’Fmi, Kristalina Georgieva, ha difeso ieri l’arma del prezzo del carbonio, per obbligare alla sobrietà: dovrebbe essere a 65 dollari la tonnellata nel 2030, cioè poco più di quello che pagano oggi le imprese europee per emetterla (60 dollari), mentre solo un anno fa era a 30 dollari. La strada per lottare contro il riscaldamento climatico verrà intrapresa solo se ci sarà da guadagnare, è il messaggio che è venuto ieri da Glasgow. Per la segretaria Usa al Tesoro, Janet Yellen, nei prossimi trent’anni, il costo della transizione per portare a termine la svolta ecologica, sarà di 150mila miliardi di dollari. Una cifra che dà il capogiro, ma non si deve avere paura: «sarà la più grande opportunità economica», rassicura. Ieri, un gruppo di paesi (Ue, Germania, Francia, Usa, Gran Bretagna) ha promesso al Sudafrica una «partnership internazionale» per finanziare la transizione, dotata di 8,5 miliardi di dollari.

POCO PER VOLTA, i paesi ricchi si avvicinano alla promessa fatta 12 anni fa di 100 miliardi l’anno per i paesi in via di sviluppo, che subiscono gli effetti del cambiamento climatico senza esserne responsabili. L’obiettivo di 100 miliardi potrebbe essere raggiunto nel 2023. Ma già l’Onu calcola che per la transizione ci vorranno mille miliardi.

L’OCCIDENTE chiama in causa la grande finanza. L’obiettivo è usare tutte le leve possibili per mantenere la leadership mondiale. Joe Biden ha preso di mira esplicitamente Cina e Russia, i cui dirigenti sono stati volutamente assenti alla Cop26 ma anche al G20. Ieri, replica acida da Mosca al presidente Usa, che aveva affermato, rivolto a Putin, che «la sua tundra sta bruciando letteralmente, sta affrontando problemi climatici molto seri, ma resta in silenzio».

Il portavoce Dmitry Peskov ha replicato: «non siamo d’accordo, la tundra sta davvero bruciando ma non dimentichiamo che le foreste stanno bruciando anche in California, Turchia e in altre parti del mondo». L’azione della Russia sul clima è «coerente, ponderata e seria».

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