Per decisione dell’Assemblea generale delle Nazioni unite, il 2023 è l’anno internazionale del miglio e di altri cereali «minori» (sorgo, fonio, teff). Sono adatti a un futuro problematico: molto ricchi in nutrienti, resistenti alla siccità, radicati nelle tradizioni delle aree più povere dell’Africa e dell’Asia, anche se piuttosto negletti nelle società urbane. I produttori vanno valorizzati, assistiti anche nella prima trasformazione e nella vendita.

ALL’INCONTRO DEGLI STATI membri dell’Ifad (Fondo internazionale per lo sviluppo agricolo), tenutosi nei giorni scorsi a Roma, l’anno del miglio è stato ricordato dal rappresentante dell’India. Ma il tema generale dell’incontro è stato: «Accelerare l’azione per la sicurezza alimentare». Ovvero come sostenere i sistemi alimentari più adatti in una situazione definita «fragile» mettendo al centro i piccoli produttori e fra questi, i giovani, quelli che altrimenti lasciano le campagne. Ha detto Dali Nolasco Cruz, giovane Nahua del Messico: «Sosteneteci e ascoltateci. Noi giovani indigeni abbiamo qualche vantaggio perché siamo ancora fortemente connessi con le tradizioni. Ma per quelli negli spazi urbani è più difficile». Anche per affrontare i nessi acqua-cibo-energia al tempo dei cambiamenti climatici, le popolazioni indigene possono offrire una prospettiva olistica e una leadership. Ma in generale le popolazioni rurali povere hanno mostrato di poter fare miracoli se appoggiate, ha sottolineato Cristina Duarte, capoverdiana, consigliera speciale del segretario generale dell’Onu per il continente africano.

C’È PERÒ UNA «CRONICA CATENA di paradossi», soprattutto in Africa. Dato il contesto – l’Ifad è una istituzione finanziaria della casa Onu – Duarte è partita dai fondi: «L’Africa ha abbondanti risorse finanziarie ma le perde, anche nei flussi illeciti di denaro in uscita». E «questo paradosso ne alimenta un altro: il continente ha grandi risorse energetiche ma è piuttosto al buio», con 600 milioni di persone prive di accesso all’energia elettrica e un miliardo senza fonti pulite per gli usi domestici. I due paradossi a loro volta «alimentano l’insicurezza dei sistemi alimentari, anche perché il settore agricolo consuma solo il 2% dell’energia totale». Il resto è fatica. Dunque, la transizione energetica per l’Africa ha un diverso punto di partenza, benché la traiettoria debba essere per tutti «rendere green questo mondo».

Il potenziale c’è tutto ma, ha detto Duarte, «dobbiamo mettere al volante il mondo rurale e non l’aiuto bensì il buon uso delle risorse domestiche. Del resto l’Africa già finanzia il proprio sviluppo: sommando i redditi interni e i risparmi continentali si arriva a 800 miliardi di dollari, mentre gli aiuti esteri ammontano a 55 miliardi, eppure da decenni questi sono al centro della narrazione». Dimenticando poi che si tratta di una minima restituzione del maltolto, visto che la rapina delle risorse naturali africane continua. Certo, pochi paesi africani investono nel settore agricolo il 10% del proprio bilancio malgrado la Dichiarazione di Malabo del 2014.

POI CI SONO I CONFLITTI che, soprattutto nel Sahel e nel Corno d’Africa, esacerbano l’insicurezza alimentare e ne sono a loro volta alimentati. Sono il frutto di interventi armati occidentali ma anche della competizione sulle risorse africane, oltre che di fattori interni come la carenza di servizi sociali.

L’impatto del caos climatico è un altro pesantissimo debito maturato dal Nord del mondo. La finanza per il clima deve aiutare l’adattamento alla nuova situazione, per evitare altri danni. E va affrontata prioritariamente la scarsità idrica che, ha sottolineato il rappresentante dell’Etiopia, è la crisi centrale per i piccoli agricoltori del Corno d’Africa. Acqua ed energia al centro dello sviluppo rurale, anche con la cosiddetta cooperazione Sud-Sud, ha precisato un rappresentante della Costa d’Avorio accennando alla gestione delle risorse idriche nel siccitoso Egitto.

VA PERÒ RIPRESA LA VISIONE iniziale dell’indipendenza africana: «Dopo tanti decenni è valida e va messa in pratica, anche passando dal modello della dipendenza dalle commodities a una economia diversificata nella quale contiamo sulle nostre risorse» ha risposto Duarte a un delegato africano che sottolineava la dipendenza di molti paesi dalle colture per l’export come conseguenza dei famigerati piani di aggiustamento strutturale (Pas). Altro esempio emblematico, seppure poco agroecologico: «L’Africa nel suo insieme produce 13 milioni di tonnellate di fertilizzanti, ma ne usa la metà».

Quanto ai piccoli grandi strumenti d’azione, l’Unione africana ha indetto per il 1 marzo la giornata mondiale dell’alimentazione a scuola, con cibi prodotti dalle comunità. Un programma che dà un grande contributo agli obiettivi per lo sviluppo sostenibile e diventa una infrastruttura semi-istituzionale utile a veicolare altri progetti sociali.