Una pagina sul New York Times, in inglese e in spagnolo. A firma Tareck El Aissami, vicepresidente del Venezuela. Il paese bolivariano risponde così – acquistando il diritto di replica sull’autorevole quotidiano statunitense – alle sanzioni imposte lo scorso 13 febbraio contro il dirigente chavista. Con una lettera indirizzata a Trump, 34 deputati Usa, sia democratici che repubblicani, avevano sollecitato sanzioni ad personam contro il governo Maduro, puntualmente emesse dal ministero del Tesoro. Per la Ofac, l’Ufficio per il controllo dei beni stranieri, El Aissami ha facilitato l’invio di grossi carichi di droga dal Venezuela, sia per via aerea che marittima, e ha favorito grandi trafficanti, in quanto vincolato al micidiale cartello messicano dei Los Zetas, al narcotrafficante colombiano Daniel Barrera Barrera e a quello venezuelano Hermagoras Gonzalez Polanco. Da qui il divieto per il vicepresidente di ottenere il visto d’ingresso negli Usa, di procedere a qualunque transazione con il Nordamerica e il blocco dei suoi beni.

MA QUALI BENI? «Non possiedo beni o conti bancari negli Stati uniti né in nessun altro paese – scrive El Aissami – e risulta assurdo e patetico che un organo amministrativo statunitense, senza presentare prove, decida di bloccare beni e attività che non possiedo». Quindi, dopo aver criticato «il fallimento della guerra alla droga» e l’aumento delle reti finanziarie che sostengono il traffico illecito, fuori e dentro gli Usa, il vicepresidente chiede: «Quanti capi del narcotraffico sono stati catturati negli Usa? Quante banche e paradisi fiscali che sostengono finanziariamente questo gigantesco crimine contro l’umanità sono stati chiusi dagli Usa?» Mentre si arrogano il diritto di emettere sanzioni, «gli Stati uniti non hanno ratificato nessuno dei trattati internazionali in questa delicata materia». El Aissami, elenca i successi del suo governo contro il narcotraffico, in particolare durante il periodo in cui è stato ministro degli Interni e invita il suo omologo del Tesoro Usa a non cadere nella trappola «dei gruppi d’interesse che vogliono criminalizzare il governo bolivariano».

I GRUPPI in questione – rappresentanti delle destre venezuelane, ben sostenuti a livello internazionale -, si sono recati a Washington per chiedere all’amico Trump di rispettare le promesse di campagna, chiudere le porte a Maduro e aprirle al Segretario generale dell’Osa, Luis Almagro, che preme per liberarsi della mediazione del papa Bergoglio per poter applicare a Caracas le sanzioni economiche previste dalla Carta democratica interamericana. Anche il governo cubano ha denunciato «un piano destabilizzante da parte di Almagro e degli Usa per danneggiare l’immagine internazionale del paese e nuocere alle relazioni diplomatiche con altre nazioni» e ha respinto i suoi attacchi contro «governi progressisti come Venezuela, Bolivia e Ecuador». Almagro, «a capo di una delegazione imperialista» avrebbe voluto recarsi a Cuba per ricevere un premio da un’organizzazione internazionale anticastrista, ma è stato respinto.

E IL PARLASUR (il Parlamento del Sud) ha fatto ricorso contro la sospensione del Venezuela dal Mercosur. Ma il governo del Paraguay – uno dei soci dell’organismo, erede del golpe istituzionale contro Fernando Lugo e ora proiettato verso la riforma costituzionale per prolungare la candidatura del presidente Cartes – ha convocato per il 9 marzo una riunione con l’Unione europea: per la firma del Trattato di libero commercio.

INTANTO, in Venezuela, la Commissione per la verità che indaga sui crimini e le scomparse durante la IV Repubblica ha pubblicato il rapporto: oltre 10.000 violazioni dei diritti umani commesse dai governi contro gli oppositori politici di sinistra tra il 1958 e il 1998.