Contro la repressione, lo sciopero generale dell’indipendentismo
Catalogna Decine di migliaia nelle piazze di tutta la regione contro la violenza della polizia. Re Felipe rompe il silenzio: «Restaurare l’ordine costituzionale». Il Govern catalano traccheggia sulla proclamazione, ma c’è già chi parla di venerdì, anniversario della dichiarazione dello stato catalano del 1934
Catalogna Decine di migliaia nelle piazze di tutta la regione contro la violenza della polizia. Re Felipe rompe il silenzio: «Restaurare l’ordine costituzionale». Il Govern catalano traccheggia sulla proclamazione, ma c’è già chi parla di venerdì, anniversario della dichiarazione dello stato catalano del 1934
Ogni volta che l’indipendentismo porta in piazza la folla, vince la prova di immagine. Quella di ieri doveva essere una protesta per la violenza della polizia, soprattutto, anche se un paio di piccole sigle aveva proclamato lo sciopero generale. E si è trasformata in decine di manifestazioni spontanee in tutta la Catalogna, strade e autostrade bloccate, la maggior parte dei negozi, uffici e musei chiusi, trasporti al minimo, con la gentile collaborazione di istituzioni e principali enti pubblici catalani che, di fatto, hanno dato il giorno libero (ma il governo spagnolo ha chiesto, e non ottenuto, l’elenco dei funzionari che non si sono presentati per sottrargli il giorno di paga).
Alla fine della giornata della Catalogna indignata, a sorpresa, alle nove della sera, dopo quasi un mese di silenzio, ha parlato il capo dello stato, Filippo di Borbone, con un discorso alla nazione in diretta tv: senza offrire null’altro che un attacco alla Generalitat: «C’è stata una condotta irresponsabile delle autorità catalane che in maniera chiara si sono messe al margine del diritto e della democrazia», ha detto ordinando di «restaurare l’ordine costituzionale».
Massiccia è stata la manifestazione in Plaça Universitat, nel cuore di Barcellona, pienissima. Di persone, e di bandiere (indipendentiste).
Qualche slogan contro la polizia (spagnola), pochissimi contro la violenza, e un sacco di inni e motti indipendentisti. E gli ormai immancabili violenti insulti alla «stampa spagnola manipolatrice», che perseguono i giornalisti che non sfoggiano loghi dei mezzi di comunicazione «amici».
Poi un’altra concentrazione, poco lontano, quella dei sindacati indipendentisti. Hanno sfilato per le vie di Barcellona anche piccoli gruppi di «spagnolisti».
Quello che succederà sfugge ai più, mentre si susseguono le voci. Il Govern catalano traccheggia, e non ha ancora «proclamato» ufficialmente i risultati del referendum perché, secondo quanto previsto dalla legge annullata dal Tribunale costituzionale ma che per il governo catalano è ancora vigente, entro 48 ore poi si dovrebbe dichiarare l’indipendenza.
Per massimizzare la previsibile concentrazione di persone inneggianti, si parla di posticipare la proclamazione al venerdì, opportunamente coincidendo con l’anniversario della storica dichiarazione dello stato catalano nella Repubblica spagnola del President Lluís Company nel 1934, in modo tale che la dichiarazione possa essere fatta la domenica dal Parlament.
La Cup ed Esquerra Republicana spingono per la dichiarazione unilaterale di indipendenza, ma secondo un sondaggio della televisione pubblica catalana Tv3, il 70% dei catalani non l’appoggerebbe.
Nel frattempo, mentre il governo spagnolo si indignava per le proteste cittadine davanti agli hotel dove erano ospitati i poliziotti mandati da Madrid (e che li hanno costretti a scappare, scortati per loro grande umiliazione dai Mossos) e davanti ad alcune sedi della polizia nazionale e della Guardia Civil a Barcellona, anche il calciatore Gerard Piqué, noto indipendentista che gioca nella nazionale spagnola, è stato violentemente fischiato durante gli allenamenti della Roja. Decine di manifestanti hanno protestato anche davanti alle sedi del Pp e di Ciudadanos.
La decisione giuridica scandalosa del giorno l’ha presa invece il Fiscal, il procuratore generale, che ha respinto la denuncia delle violenze della polizia fatta dalla Generalitat, argomentando che quanto accaduto «non ha avuto alcun effetto sulla normale convivenza cittadina» e che il numero dei feriti rappresentava un mero «0,037%» dei «presunti votanti». Quindi la violenza era del tutto giustificata e proporzionale, così come l’uso delle pallottole di gomma, vietate da qualche anno in Catalogna.
La novità politica è che finalmente il Psoe ha promesso che presenterà una mozione di sfiducia contro la vicepremier Soraya Saéz de Santamaría a cui attribuisce la «massima responsabilità» per i fatti di domenica: Podemos ha già detto che l’appoggerà, per cui Saéz de Santamaría sarà la quarta ministra sfiduciata del governo Rajoy.
Il premier intanto oltre a Psoe e Ciudadanos non ha sentito nessun altro partito. Podemos ha invece offerto un «appoggio incondizionato» a un’eventuale mozione di sfiducia del Psoe e ha attaccato il Pp per aver dato «ordini irresponsabili» alla polizia, per bocca della capogruppo Irene Montero.
Il segretario di Izquierda Unida Alberto Garzón ha chiesto di lavorare alla nascita di una «Repubblica federale nella quale possiamo sviluppare le nostre vite in maniera congiunta». Vedremo oggi che succederà nella sessione del Parlament di Barcellona e in quella dell’Europarlamento che per la prima volta discuterà del tema catalano dopo la violenza di domenica.
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