Nell’impegno per la sopravvivenza collettiva di persone, popoli, natura, viventi, quali sono gli strumenti più efficaci ma anche tempestivi a disposizione della società civile locale e planetaria? Qualche anno fa il libro collettivo Quelli delle cause vinte (Gaia edizioni), raccontando 80 storie di lotte ambientali riuscite, indicava una «cassetta degli attrezzi». Fondamentale la continua sensibilizzazione della cittadinanza, affinché da un lato cambi stile di vita in senso eco-equo, e dall’altro diventi esigente nei confronti dei poteri e degli attori economici irresponsabili.

Ma, a partire dalla spada di Damocle climatica, siamo di fronte un’assoluta urgenza. Fare presto. La rivoluzione delle coscienze e delle azioni ha tempi più lunghi. E poi le persone e le collettività vedono spesso i loro sforzi vanificati da chi comanda, le loro tasse usate male per finanziare «progetti che ledono il futuro di tutti, alla ricerca del puro profitto», per usare le parole di Rachele, giovane torinese che partecipa alla prima azione legale climatica contro l’Eni avviata ieri da Greenpeace e Re:Common.

Dunque, trovare talloni d’Achille nei potenti è necessario. Lo si fa con le proteste sui territori, davanti a problemi e progetti sbagliati – e se coinvolgere i grandi numeri dei residenti è difficile, la disobbedienza civile nonviolenta, purché ripetuta e tenace, è uno strumento fantasioso per minoranze attive.

Importanti poi le inchieste mediatiche approfondite da usare come strumenti di pressione su politici e istituzioni. Utile espellere i grandi inquinatori dagli spazi pubblici, che essi usano per acquisire legittimazione (green washing). E utile naturalmente saper proporre progetti alternativi (della serie «si può fare»). Ma un’altra leva è lo strumento giuridico: cause civili intentate contro attori politici ed economici. Quella contro l’Eni chiede da un lato che siano accertati il danno e la violazione di diritti, dall’altro che sia imposta una revisione delle strategie industriali per rispettare l’Accordo di Parigi (2015) e ridurre l’enorme contributo al caos climatico – una branca della scienza climatica si occupa proprio di calcolare l’attribuzione delle responsabilità.

Per dirla con Bertolt Brecht, «ci sarà pure un giudice a Berlino». E anche altrove, a guardare alcuni buoni risultati in giro per il mondo nelle azioni di contenzioso climatico: oltre duemila, più che raddoppiate dal 2015; importante il risultato – anche se non definitivo – contro la Shell nei tribunali olandesi. E ricordiamo anche la campagna Giudizio universale intentata nel 2021 contro lo Stato italiano: per inazione climatica.