Dal punto di vista dei conflitti che attraversano ogni paese, non ci sono differenze tra miserevoli micro-nazionalismi, grandi nazionalismi con vocazione di imperialismo territoriale, grandi nazionalismi, più «moderni», con vocazione di imperialismo globale.

Come ha ben rimarcato il 7 ottobre Marco Bascetta «il «nazionalismo significa, quasi esclusivamente (e classicamente), la cancellazione delle fratture e delle linee di conflitto che attraversano, in ogni paese, la società e i suoi immensi squilibri».

In tale contesto la conoscenza/comprensione del momento attuale è impossibile senza l’analisi delle nuove forme imperialismo e del loro svolgimento nel sistema postsovietico delle relazioni internazionali. In tale contesto valgono ancora di più le ragioni di quel «contro», «contro», evocato da Tommaso Di Francesco, sempre su il manifesto, agli inizi dell’«operazione militare speciale». La guerra in Ucraina, infatti, si manifesta come il luogo-rivelazione di un insieme causale e di un orizzonte prospettico misurabili su tempi e spazi assai diversi da quelli della contingenza. Papa Francesco ha detto che «è un errore (…) pensare che questa è una guerra tra Russia e Ucraina e basta. No: questa è una guerra mondiale». Qualsiasi seria analisi porta a queste conclusioni: siamo di fronte ad una guerra mondiale che (per ora) si combatte su terreno ucraino.

Una guerra mondiale con due protagonisti: la Russia di Putin e gli Usa con la loro dépendance Nato-Ue. Poi all’interno di questa cornice si combattono altre guerre. Insomma un terreno fecondo per il moltiplicarsi dei Gavrilo Princip.

Il conflitto tra nazionalismo grande-russo e nazionalismo ucraino ha origini e svolgimenti di crescente auto-alimentazione con carattere speculare. Sono ambedue il frutto della necessità delle oligarchie dominanti nella Federazione Russa ed in Ucraina di trovare una legittimazione forte su un terreno che esclude riflessione e lotta sulla questione sociale, sulla democrazia sociale.

Un terreno dove il russo, l’ucraino poveri, possano sentirsi uguali ai loro oligarchi. Questo è l’unico progetto di uguaglianza che quelle oligarchie possono proporre ai popoli di cui sono dominanti più che governanti. Il Gavrilo Princip che, con l’invasione, ha trasformato un conflitto a bassa intensità nell’orrenda carneficina che si svolge sotto i nostri occhi, non è portatore di nessun messaggio di giustizia, tantomeno di giustizia sociale. Putin è il rapprentante di oligarchie che, sulla base di rapporti capitalistici del tutto senza regole, accentrano profitti altissimi di contro all’area di povertà assai estesa esistente nella Federazione russa.

I contendenti di questa guerra non sono gli alfieri di modelli ecomico-sociali alternativi. Nello scontro tra l’idea di un mondo regolato tra imperialismi molteplici sostenuta da Putin ed il mono-imperialismo accanitamente difeso da Stati Uniti e assimilati, coloro che di sicuro usciranno sconfitti li troveremo in tutti i gradi della condizione subalterna. Anche i più accesi nazionalisti non ne sfuggiranno.

Nella Ue, prontamente allineatasi a Stati Uniti-Nato tanto da risultarne indistinguibile, questi effetti saranno, lo sono già, particolarmente sensibili. Nella Ue infatti, nonostante il forte ridimensionamento nel «trentennio inglorioso», la presenza dello Stato sociale non è stata ancora eliminata. La perdita di quel poco di autonomia politica che da alcune parti si era cercato di costruire, la connessa subordinazione economica agli interessi del Grande alleato, ci portano a passi veloci all’uniformità con il modello sociale statunitense.

La nostra parte, debolissima, che pure deve trovare gli strumenti adatti «contro» l’imperialismo dalle forme arcaiche di Putin, «contro» il monoimperialismo moderno ed insieme tradizionale degli Stati Uniti, può esercitare una qualche funzione soprattutto battendosi «contro» le nostre oligarchie.

La guerra in corso è la questione più importante dell’attuale agenda politica. Altro che agenda Draghi. Possiamo affrontare il problema solamente dando corpo «all’unico spettro che ancora si aggira, molto timidamente, per l’Europa», cioè la lotta di classe. Questo deve diventare il nocciolo duro di tutti i progetti di rinascita della sinistra. All’orizzonte però prevalgono ancora le chiacchiere vuote intorno al riposizionamento di coloro che tale nocciolo hanno cancellato dal loro orizzonte analitico e politico.