Sull’Ucraina la Camera ieri ha approvato le mozioni del centrodestra, del Pd e di Azione-Italia Viva. Bocciate invece quelle del M5S e di Verdi-Sinistra, molto più critiche rispetto alla posizione assunta da febbraio dal governo italiano. La linea dell’Italia nel conflitto dunque non cambia. E la mozione di maggioranza chiede al governo di continuare a inviare armi fino a fine 2023, oltre che di portare la spesa militare al 2% del Pil entro il 2028.

UN RISULTATO IN APPARENZA scontato, con i partiti che avevano dato il via libera alle forniture belliche all’inizio del conflitto rimasti sulla stessa linea, con l’eccezione del M5S. Ma dietro questi risultati c’è molto più succo politico. Il M5S, ad esempio, ha votato in larghissima parte a favore della mozione di Sinistra e Verdi, l’unica a chiedere apertamente lo stop all’invio di armi.

Favorevole anche Giuseppe Conte, che aveva chiesto il dibattito parlamentare, e aveva presentato una mozione che chiedeva di coinvolgere il Parlamento prima di ogni nuova fornitura militare. Un testo quindi meno esplicito di quello della sinistra, tanto da non aver ricevuto il voto a favore (ma solo l’astensione) da parte di Sinistra e Verdi. «Avremmo votato a favore anche di mozioni di altri gruppi parlamentari se queste avessero contemplato l’impegno allo stop alle armi, ma purtroppo solo la nostra aveva parole chiare su questo», ha spiegato Fratoianni.

CONTE E I SUOI ALLA FINE hanno votato lo stop alle armi, ma in una mozione diversa dalla loro. «Non possiamo continuare a pensare ad una illusoria disfatta della Russia», ha detto in aula il leader M5S. «Sulle armi pretendiamo un passaggio nelle aule parlamentari. Se il governo vuole perorare una linea guerrafondaia “armi a oltranza e zero negoziati” venga in aula a dirlo, a metterci la faccia e a far votare il Parlamento».

«Sul piano delle armi si è parlato ed agito troppo, mentre di diplomazia non vediamo traccia. Esigiamo un cambio di passo dalla Nato e dalla Ue. E soprattutto dal nostro Paese», ha concluso Conte citando la manifestazione per la pace del 5 novembre a Roma.

LA MOZIONE DI SINISTRA ha preso 54 voti, quella del M5S solo 46. Sul testo di Fratoianni si è registrata anche una spaccatura del Pd. Il grosso del partito ha votato contro (insieme alle destre e ad Azione), l’ala sinistra con Elly Schlein, Laura Boldrini, Alessandro Zan e il gruppo di Articolo 1 (Speranza, Scotto, Stumpo e Cecilia Guerra) non ha partecipato al voto. Unico astenuto Luca Pastorino, eletto come indipendente a Genova.

Un timido gesto di dissenso rispetto alla linea dem, e di aperture verso le istanze pacifiste. La mozione del M5S ha ricevuto l’astensione del Pd e di Verdi-sinistra, e il voto contrario delle destre e dei calendiani. Quella del Pd, che prevede il sostegno a Kiev «con tutte le forme di assistenza necessarie» (votata per parti separate), ha ricevuto i voti favorevoli anche di Azione, e l’astensione delle destre, di M5S e della sinistra.

IL TESTO DI CALENDA e soci, il più bellicista di tutti, è stato approvato con l’astensione del centrodestra, del Pd e del M5S e i soli voti favorevoli dei centristi (24). Ma il primo punto del dispositivo è stato bocciato con il voto decisivo del M5S. E chiedeva di «proseguire senza riserve l’attività di sostegno, economico e militare, a Kiev, in continuità con le azioni intraprese e i provvedimenti adottati» dal governo Draghi, «anche mediante l’invio di nuovi equipaggiamenti bellici, tenendo opportunamente informato il Parlamento».

ANCHE LA MOZIONE del centrodestra (a prima firma Giulio Tremonti) è stata votata per parti separate. Il dispositivo ha ricevuto 241 voti favore, 62 astenuti e 8 contrari (Pd astenuto su tutti i punti). La sinistra ha votato sempre contro. Il M5S ha votato contro sia al proseguimento dell’invio di armi fino a fine 2023, sia all’aumento delle spese per la difesa fino al 2% del pil. «Il governo Meloni in grassa la lobby delle armi», l’afondo di Conte. Da notare che, su pressione della Lega, i nodi più bellicisti sono slittati ai punti 5 e 7 del dispositivo della mozione di maggioranza.

Per il Pd ha parlato Enzo Amendola: «Ad oggi la sciagurata avventura militare russa non ha mai concepito una mediazione, perché questa non soddisfa le sue mire. Aiutare chi è sotto il fuoco non vuol dire volere la guerra ad oltranza». Il prossimo step sarà il dibattito sul decreto che autorizzi i nuovi invii di armi per il 2023, che il consiglio dei ministri varerà nelle prossime ore.