Il 10% netto non è evidentemente un risultato soddisfacente per il Movimento 5 Stelle di Giuseppe Conte, che già nella nottata elettorale ha ammesso la battuta d’arresto e annunciato un processo di riflessione interna e che ieri ha chiamato Elly Schlein per farle i complimenti e per ribadire l’impegno al dialogo «per costruire l’alternativa a Meloni». La notizia viene fatta trapelare da via Campo Marzio per far capire che la linea resta quella.

Il crollo è dovuto soprattutto alla perdita di consensi nelle roccaforti delle regioni meridionali e nelle isole, dove i voti per i 5 Stelle quasi si dimezzano. In mezzo al tracollo si distingue il dato dell’ex presidente dell’Inps Pasquale Tridico, che con oltre 117 mila voti è il candidato del M5S più votato (alle sue spalle, nelle isole, Giuseppe Antoci è stato eletto con 63 mila voti). Accanto a loro a Bruxelles ci sarà anche Carolina Morace, che era in lista nella circoscrizione centro. E poi Gaetano Pedullà, Sabrina Pignedoli, Ginaluca Ferrara, Valentina Palmisano e Mario Furore. Dove siederanno al parlamento europeo? La domanda ancora non trova una risposta. Nelle settimane prima del voto è trapelata la prospettiva di costruire un gruppo assieme ai rossobruni tedeschi di Sarah Wagenknecht. I quali però non hanno avuto il boom al quale stavano lavorando coniugando temi sociali e toni sciovinisti (che spesso accarezzano toni anti-migranti): porteranno in Europa sei eletti. Conte ha assicurato che questa volta il M5S troverà una collocazione (in Ue non aderire ad alcun gruppo comporta gravi penalizzazioni in termini di possibilità di incidere nei dossier e di risorse) ma pare difficile che si possa arrivare ai verdi o addirittura alla sinistra.

Tutto ciò significa che la battuta d’arresto avrà ripercussioni sulla leadership? Difficile che avvenga, almeno nel breve periodo, per il modo in cui è stato ritagliato il M5S attorno alla figura dell’ex premier. E se nelle ore successive al voto non era passata inosservata la partecipazione dell’ex sindaca di Roma Virginia Raggi ad un’iniziativa dell’associazione di Alessandro Di Battista (uno che non fa mistero di rimpiangere i 5 Stelle delle origini), ieri è arrivata la bordata dell’ex ministro delle infrastrutture Danilo Toninelli, anche lui schierato sulla linea nostalgica. «Noi dicevamo concretamente non siamo né di destra né di sinistra perché siamo programma, idee, un contratto di governo – afferma Toninelli a Radio Cusano – Univamo le persone al di là delle ideologie politiche, sulle idee di un programma. Questa programmazione del futuro è venuta meno all’interno del M5S che si è politicizzato e in quanto tale ha dovuto sostituire le idee con la tattica, e la tattica lo ha portato in un campo di centrosinistra definito con un aggettivo imbarazzante che non significa niente, che è ‘progressista’, e di conseguenza è stato identificato dalle persone come un partito come gli altri».

Si fa sentire, con toni molto più low profile, anche la presidente della Regione Sardegna Alessandra Todde, ultima esponente di un M5S vincente e ancorato al campo largo. Dal suo staff segnalano che in diversi territori dell’isola i 5 Stelle sono in controtendenza. E al tempo stesso rivendicano i successi del campo largo a Cagliari, Sassari e Alghero. Sulla scrivania di Conte, intanto, sono arrivati i dati Swg dei flussi di voti (per forza di cose tutti negativi): il M5S riesce a convincere soltanto il 40% degli elettori di due anni fa, non riceve ‘apporti’ da altre forze e perde un 13% di elettori verso altri partiti di centrosinistra, il 6% verso partiti di centrodestra e il 41% verso l’astensione (35%) o verso le liste in campo che vedevano la partecipazione di ex grillini: Pace, terra e dignità di Michele Santoro e Libertà di Cateno De Luca (6%).