Stefania Craxi viene eletta presidente della commissione esteri del Senato e la politica estera si conferma il terreno della resa dei conti, all’interno della maggioranza ma non solo. Anche tra i 5 Stelle, che fino a pochi giorni fa esprimevano il presidente e consideravano di avere un diritto di prelazione sulla nomina dell’organismo rinnovato per rimuovere Vito Petrocelli. Tutto potrebbe tracimare anche nell’alleanza col Partito democratico, che per il momento tenta di gettare acqua sul fuoco della delusione grillina.

LA GIORNATA è preceduta da una nottata di trattative e tentati accordi. Discute la maggioranza, che non trova una sintesi. Si riunisce il gruppo a Palazzo Madama del Movimento 5 Stelle, che a tarda ora decide di candidare il contiano Ettore Licheri, in lizza fino all’ultimo contro Simona Nocerino, considerata vicina a Luigi Di Maio e per questo gradita dalle altre forze che sostengono Draghi. Con questa incertezza si va in commissione, dove il voto è segreto. L’elezione del presidente si trasforma in una specie di lotteria sulla pelle della maggioranza: sui ventidue piccoli indiani che compongono l’organismo precipitano le tensioni di settimane di guerra. Da consumato democristiano, Pier Ferdinando Casini opta per l’unica mossa che non si presta a interpretazione: dichiara la volontà di astenersi. «Ho preso la scheda e l’ho restituita senza passare dal gabbiotto proprio per mostrare a tutti la mia scelta»,spiega. Gli altri consumano il rito della votazione d’apertura in silenzio. Serve la maggioranza assoluta. Il primo verbale fotografa la spaccatura: undici voti per Craxi e nove a Licheri. Più due astenuti: oltre a Casini c’è Mario Monti.

ALLA SECONDA votazione la candidata del centrodestra più i renziani raccoglie un voto in più. Basta la maggioranza semplice e tanto le basta per essere eletta. Licheri si ferma a nove voti. Conte riunisce il Consiglio nazionale e denuncia che da oggi di fatto nasce una nuova maggioranza che va da Meloni a Renzi e che sta al presidente del consiglio adesso chiarire la situazione. Non esattamente un messaggio tranquillizzante in vista dell’agognata apparizione di Mario Draghi alle camere. Ma mentre le agenzie battono le dichiarazioni del leader del M5S gli stessi grillini ammettono che qualcosa non torna. Il che appare praticamente certo quando l’ex Fabio Di Micco comunica: «Ho votato per Licheri». Tanto basta a mescolare le carte: i conti non tornano: potrebbe essere che qualcuno dei 5 Stelle non abbia votato per il candidato proposto da Conte. È un ribaltamento che ridisegna di nuovo la geografia della maggioranza: a questo punto non ci troveremmo di fronte a un centrodestra allargato ai renziani ma s’avanzerebbe un aggregato trasversale alle forze politiche cui aderirebbero anche i pentastellati considerati vicini a Di Maio. I contiani parlano di «una nuova maggioranza di centrodestra che ha pensato solo ad occupare una poltrona». «Noi siamo un’altra cosa – rivendicano – In accordo con le altre forze di maggioranza abbiamo rimosso il nostro presidente e messo sul tavolo un alto e autorevole profilo per il paese. Altri, senza un briciolo di lealtà, prima hanno aperto a una convergenza e poi hanno sterzato all’ultimo verso gli interessi di bottega e occupato la poltrona con Stefania Craxi».

«BISOGNAVA SEDERSI e trovare un nome condiviso, il M5S non ha voluto farlo – accusa Ettore Rosato di Italia viva – quando si dà in mano un pallottoliere a Conte, siamo sicuri che il risultato è disastroso». I renziani sostengono che sarebbero stati addirittura tre su cinque i grillini che non avrebbero votato il candidato Licheri. Dalla cabina di regia contiana negano, dicono che i voti sono stati espressi in modo da essere riconosciuti e che dunque ci sono tutti. Se così fosse, avrebbe tradito qualcuno del Pd, non esattamente una buona notizia per i vertici del M5S. «Capisco la frustrazione di Conte, ma ora serve lavorare per rimettere in piedi la commissione esteri, non bisogna alimentare altre tensioni», commenta con una certa freddezza il dem Andrea Marcucci.

CONTE HA PROBLEMI dal lato dei governisti, ma deve fronteggiare anche l’attacco degli ex M5S di Alternativa che ieri hanno presentato un ordine del giorno contro l’invio di armi in Ucraino e trovano sponda nel malcontento di parte dei loro ex colleghi di gruppo. «L’avvocato a questo punto deve decidere cosa fare da grande», commenta un eletto che fino a poco tempo fa avremmo definito vicino all’ex presidente del consiglio. La sfida comincia da subito, questa volta Conte non può prendere tempo.