Europa

Contadini sovrani

Contadini sovraniIl presidente del Farmer-citizen movement, Erik Stegink, posa nella sua fattoria di maiali a Bathmen, Paesi Bassi orientali – foto GettyImages

Olanda Analisi del partito populista di destra olandese Farmer-citizen movement, che ha capitalizzato lo scontento di una classe tra le più privilegiate del Paese e fatto il boom alle elezioni provinciali

Pubblicato più di un anno faEdizione del 23 aprile 2023

Lo shock che il 16 marzo ha colpito la borghesia olandese è stato palpabile. Il movimento populista di destra Farmer-citizen movement, fondato nel 2019 da una piccola società di comunicazioni e finanziato da un potente gruppo agroalimentare, ha visto aumentare enormemente la sua percentuale di voti alle elezioni provinciali del Paese. Quasi un quinto dell’elettorato, circa 1,4 milioni di persone, ha votato per il Farmer-citizen movement: un numero significativamente maggiore rispetto ai 180.000 agricoltori che costituiscono il suo bacino elettorale principale. Ciò suggerisce che è in gioco qualcosa di più della semplice “sindrome Nimby”.

I PENSIONATI, i professionisti e gli occupati precari sono sovrarappresentati tra i sostenitori del partito e i suoi maggiori guadagni elettorali si sono registrati nelle aree marginali e non urbane, cioè in quelle zone più lontane dai servizi e che sono state duramente colpite dal calo degli investimenti pubblici. Il malcontento è stato capitalizzato dal Farmer-citizen movement, che si presenta come portavoce di una “classe di contadini” in realtà tra le più privilegiate del Paese: uno su cinque è infatti milionario. Ora è il maggiore partito in tutte e dodici le province olandesi e dovrebbe raggiungere lo stesso risultato alle elezioni del Senato che si terranno a maggio. Ciò darebbe ai farmer-citizen il potere di veto sia a livello nazionale che locale, frenando ulteriormente il già incerto processo di transizione ecologica del Paese.
La reazione dell’opinione pubblica mainstream all’affermazione elettorale del “partito dei contadini” è stata rabbiosa. Gli agricoltori sono stati denunciati come “nemici del progresso ambientale” e ci si è spinti a ipotizzare restrizioni al voto per gli anziani, i meno istruiti e gli abitanti delle circoscrizioni rurali.

IL CASUS BELLI per la rivolta degli agricoltori è stata una sentenza del 2019 della Corte Suprema olandese, secondo cui il governo aveva violato gli obblighi verso l’Ue relativi alla protezione di 163 aree naturali dalle emissioni derivanti dalle attività agricole limitrofe. Ciò ha spinto il governo di coalizione di centrodestra, guidato da Mark Rutte, a imporre un limite di 100 km/h sulle autostrade, nonché ad annullare un’ampia gamma di progetti edilizi destinati ad alleviare la carenza di offerta nel mercato immobiliare olandese. Fu presto chiaro che tali misure erano insufficienti, dal momento che i trasporti e l’edilizia contribuivano in misura irrisoria alle emissioni nazionali di azoto. L’agricoltura, al contrario, era responsabile del 46%. Una soluzione strutturale avrebbe dovuto quindi comportare una sostanziale riduzione degli allevamenti intensivi.
Il suggerimento a lungo avanzato dal politicamente marginale “Partito animalista”, cioè di diminuire fino alla metà il numero di capi allevati in aziende intensive espropriando da 500 a 600 grandi “emettitori”, ha guadagnato improvvisamente il centro della scena. L’impensabile era diventato pensabile. Le proposte del governo hanno innescato un’ondata inaspettata di proteste: contadini che bloccano le strade con i loro trattori, occupano piazze e altri spazi pubblici, irrompono negli edifici governativi e si presentano nel salotto di casa dei politici.

DOPO LA BREVE PAUSA del lockdown, il movimento ha raggiunto nuove vette di intensità. Dalla primavera del 2022, lungo le strade e le autostrade che conducono nelle parti dimenticate dei Paesi Bassi, i contadini hanno appeso migliaia di bandiere nazionali capovolte: il simbolo del loro malcontento.

LA RADICE del malcontento va cercata nel modello di sviluppo olandese e nella sua narrazione pubblica, tutta costruita sull’esaltazione delle virtù della città e della sua “classe creativa”. Geografi come Richard Florida ed Edward Glazer hanno reso popolare l’idea che la politica “post-ideologica” debba smettere di sostenere “i luoghi che non contano” per concentrare invece le risorse sui centri urbani, rappresentati come l’architrave del successo economico dei Paesi. E così è andata: mentre gli ospedali, le scuole, le caserme dei pompieri e gli autobus lentamente scomparivano dalle aree del margine, i centri urbani si agghindavano con nuove e scintillanti linee della metropolitana. Tra i luoghi si sono così aperte grandi differenze nell’aspettativa di vita, nonché una crescente divergenza nella fiducia verso la classe politica e il funzionamento delle istituzioni. Il brodo di coltura perfetto per la vendetta dei luoghi che contano.

*Professore di geografia finanziaria all’Università di Amsterdam. Traduzione di Filippo Barbera. Sintesi parziale dell’articolo uscito su: tps://newleftreview.org/sidecar/posts/farmers-revolt

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