In cerca dei luoghi in cui Conrad  fece scalo alla fine dell’Ottocento e da cui trasse ispirazione per i suoi romanzi malesi, Gavin Young ha intrapreso,  a sua volta, un lungo viaggio, intrecciando passato e presente: come molti racconti simili – tanto più se il viaggio è, come in questo caso, anche sentimentale – Sui mari di Lord Jim  Un viaggio nel cuore di Conrad (traduzione di  Claudio Gallo, Settecolori, pp. 476, € 26,00) ha un andamento digressivo. Nel corso delle sue pagine, Young cambia passo, si ferma, si guarda intorno, sente il fascino dei dettagli più minuti. Indugia sul succedersi lento dei paesaggi malesi, sull’aspetto del battello su cui viaggia (indonesiano ma di fabbricazione tedesca), senza dimenticare gli «uccelli scuri dal becco curvo come ibis» che «scendevano a sfiorare tra le rocce un labirinto di trappole per pesci di bambù, diretti verso le paludi che circondano Giacarta». E conclude il suo pellegrinaggio tra i paesaggi della Cornovaglia – da cui proviene – e  quelli del Kent – in cui Conrad ha vissuto ed è sepolto.

Accompagnata dall’ombra dei suoi personaggi, quella dello scrittore polacco non esce mai di scena: alle sorti di Almayer, l’olandese che Conrad ritrae come un fallito europeo e che vive in una sperduta località del Borneo,  Young intreccia quelle di un altro personaggio, Charles Olmeijer, consumato non dall’oppio ma dalla malattia, del quale cerca la tomba perduta «tra l’erba alta di un cimitero di Surabaya abbandonato da tempo». Va poi all’inseguimento dell’uomo su cui Conrad modellò Syed Abdulla – il «grande mercante maomettano degli stretti» – di cui ricostruisce la genealogia e incontra i discendenti; e dedica alcune pagine a Augustin Podmore Wiliams, la controparte storica di Lord Jim, che a differenza dell’antieroe conradiano «ebbe il fegato di tornare a Singapore e cominciare là una nuova vita, dove qualsiasi europeo si sarebbe sentito autorizzato a puntare il dito e fissarlo».

Ma ciò che più interessa, nel libro di Young, è la sua attenzione a un aspetto della narrativa di Conrad che finisce spesso in secondo piano: nel descrivere la vita nell’arcipelago malese, lo scrittore anglo-polacco ha attinto all’immaginazione e a letture successive, certamente; e tuttavia i suoi sono anche racconti intrisi di ricordi, fitti di riferimenti a fatti, personaggi e contesti di cui quasi non è rimasta traccia, e inseguono le derive e i colori di un mondo di cui il pubblico europeo a malapena conosceva l’esistenza. Conrad è stato il cronista immaginifico di alleanze fuggevoli, di società al crepuscolo, di angoli dimenticati, di ambizioni miopi e imprese effimere. E benché abbia attinto anche al romanzo di avventura vittoriano – colluso con l’impresa imperialista – e non abbia conosciuto a fondo le etnie che descrive, gli è riuscito di mettere a punto prospettive e registri narrativi dei quali grandi autori postcoloniali – come il V. S. Naipaul di Sull’ansa del fiume – si sono poi serviti in modo proficuo.

Il filone saggistico nel quale rientra Sui mari di Lord Jim è ormai nutrito: sono già molte, infatti, le ricostruzioni  fattuali o romanzate, delle esperienze di Conrad, il cui valore storico è sempre più evidente. Nella sua recensione a Sui mari di Lord Jim anteposta al volume, Edward Said ci ricorda, significativamente, che la narrativa di Conrad non sarebbe potuta esistere senza «i sistemi coloniali britannico e olandese», e evidenzia come il bel libro di Young sia riuscito a cogliere molte facce di quei contesti. Nel riportarci sui mari di Lord Jim, Young ci mostra la loro estraneità ai mari salgariani, e il loro essere stati teatro di una quotidianità dimenticata, e dimostra come l’intensa sperimentazione formale di Conrad coesista con la sua profonda coscienza del contesto descritto.