Congo amaro per l’Italia
Il giovane ambasciatore a Kinshasa Luca Attanasio ucciso sulle strade Nord Kivu insieme al carabiniere Vittorio Iacovacci e all’autista Mustapha Milambo In viaggio in una regione insidiosa, senza scorta, per visitare la scuola di un progetto Onu contro la malnutrizione infantile. Il governo congolese: «Non potevamo proteggerlo perché non sapevamo della sua presenza in zona»
Il giovane ambasciatore a Kinshasa Luca Attanasio ucciso sulle strade Nord Kivu insieme al carabiniere Vittorio Iacovacci e all’autista Mustapha Milambo In viaggio in una regione insidiosa, senza scorta, per visitare la scuola di un progetto Onu contro la malnutrizione infantile. Il governo congolese: «Non potevamo proteggerlo perché non sapevamo della sua presenza in zona»
A tante morti quotidiane che non fanno notizia, la cronaca del nord-est della Repubblica democratica del Congo ne aggiunge tre che nella mattinata di ieri sono rimbalzate drammaticamente in Italia. Il nostro ambasciatore Luca Attanasio, 43 anni, è stato ucciso a colpi d’arma da fuoco nella provincia del Nord-Kivu insieme al carabiniere Vittorio Iacovacci. Anche l’autista Mustapha Milambo, dipendente locale del World Food Programme (Wfp), non ha avuto scampo.
ERANO PARTITI POCO PRIMA dal capoluogo Goma, diretti a Rutshuru per visitare una scuola inserita in un progetto contro la malnutrizione del Programma alimentare mondiale, appunto. In una nota, oltre a confermare il ferimento di altri componenti della delegazione, è lo stesso organismo dell’Onu a precisare come l’itinerario fosse considerato sicuro, tanto che le autorità avevano autorizzato il viaggio «senza scorta armata».
Ma la N2, che attraversa il versante ovest del Parco nazionale di Virunga, il parco dei vulcani e dei gorilla di montagna, una strada sicura forse non lo è mai stata. L’attacco sarebbe avvenuto all’altezza del villaggio di Kanyamahoro. Primi a intervenire, non è chiaro se durante o dopo l’agguato, i ranger che controllano il parco nazionale e che negli ultimi tempi sono finiti anche loro sotto il fuoco delle bande armate attive nella zona: 6 sono morti in un’imboscata lo scorso 6 gennaio, altri 13 erano stati trucidati con modalità simili nell’aprile 2020.
I VIRUNGA RANGERS sono un corpo creato per difendere i confini e la biodiversità della più antica riserva naturale africana, ma non c’è nessuno che difenda loro, una forza fatta normalmente di 700 uomini: l’Afp calcola che negli ultimi dieci anni ne siano stati uccisi circa 200. Prima erano soprattutto scontri a fuoco con i bracconieri, traffico illegale di animali vivi o morti, l’avorio… Ora sono nel mirino delle bande mai-mai, le milizie irregolari sorte a decine nel tempo sospeso che è seguito al conflitto detto anche Guerra mondiale africana (…), tra domanda di autodifesa e propensione alla proverbiale «miglior difesa». Ma invisi anche ai principali indiziati per l’attacco al convoglio del Wfp, i jihadisti dell’Alleanza delle forze democratiche (Adf) e i ruandesi delle Forze democratiche per la liberazione del Ruanda (Fdlr).
Sono i ranger i primi a parlare di un tentativo di sequestro finito male. Una delle foto non ufficiali che circolava ieri mostrava il corpo esanime di Attanasio adagiato su un vecchio pick up, sostenuto da due ragazzi. Intorno diversi civili, forse lavoratori del parco con gli stivali di gomma e i volti tirati. L’ambasciatore morirà poco dopo nell’ospedale delle Nazioni unite a Goma.
Certo fa riflettere la stranezza di una delegazione con alti rappresentanti internazionali che viaggia sotto l’egida del World Food Programme ma senza l’ombrello securitario della Monusco, la missione delle Nazioni unite attiva dal 1999 nella regione, la più consistente forza multinazionale Onu del mondo, con oltre 17 mila uomini dispiegati. Una missione detta di «stabilizzazione» dall’esito a dir poco incerto, con un rapporto non sempre sereno con le popolazioni locali e l’inevitabile prezzo di vite umane versato a una situazione in cui di stabile c’è solo la più totale instabilità.
UN RUOLO NEFASTO anche in questo caso potrebbero averlo giocato gli attriti tra le autorità del parco e le comunità che vivono nei suoi pressi, questioni di confini elettrificati e danni alle colture, creando un contesto ideale per i gruppi armati. Nell’assenza cronica dello stato centrale che si dibatte e si avvita in mille crisi mille miglia più a sud, a Kinshasa.
Il governo traballante di Felix Tshisekedi, che ha appena sciolto la coalizione con cui governa dalla sua tribolata elezione nel 2018, in condominio con il partito di Joseph Kabila, a sostanziale conferma dello sbigottimento iniziale mostrato dalle forze locali di polizia, fa sapere attraverso il ministro dell’Interno Aristide Bulakali Mululunganye che «né i servizi di sicurezza, né le autorità provinciali hanno potuto assumere particolari misure a protezione del convoglio in assenza di informazioni sulla sua presenza in un’area instabile e teatro dell’attivismo di gruppi ribelli nazionali e stranieri».
STRANIERI, SOPRATTUTTO: Kinshasa accusa frontalmente le Forze democratiche per la liberazione del Ruanda, uno degli oltre 100 gruppi armati attivi nella zona, eredità delle dinamiche genocidiarie del vicino Ruanda. Ma resta plausibile anche l’ipotesi formulata in principio di una responsabilità delle Forces démocratiques alliées (Fda, o Afd)), gruppo jihadista di matrice ugandese, di cui l’Isis si è spesso intestato le azioni. L’ultima strage avvenuta in questa zona risale solo a un mese fa, quando in un villaggio della zona di Irumu sono stati uccisi circa 50 civili, tutti membri della già normalmente martoriata minoranza dei pigmei.
Sia come sia, le forze armate congolesi avrebbero liberato una delle quattro persone rapite nell’attacco e ora ovviamente perlustrano la zona alla ricerca dei colpevoli. «Piena luce» la chiedono le Nazioni unite, dal segretario generale Guterres in giù; la chiede la Farnesina (Di Maio nel pomeriggio ha chiamato la ministra degli Esteri congolese, Marie Tumba Nzeza) aggiunge la richiesta di un report completo all’Onu su quanto accaduto. La promessa del governo di Kinshasa che «nessuno sforzo verrà risparmiato per il ripristino della sicurezza nella regione» sembra di averla già sentita. Anche dall’Onu.
LUCA ATTANASIO, uno dei più giovani ambasciatori sulla scena della diplomazia italiana, paga così anche la sua sensibilità umanitaria fuori dal comune, condivisa in famiglia anche con la moglie Zakia Seddiki, che nel 2017, l’anno di arrivo di Attanasio a Kinshasa, aveva fondato nella capitale congolese l’associazione umanitaria Mama Sofia. Lascia lei e tre figli.
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