Conceiçao Evaristo, scrittrice brasiliana pluripremiata, approda finalmente in Italia e lo fa con una doppia pubblicazione: Tamu Edizioni propone il romanzo Vicoli della memoria con la traduzione di Dea Merlini e la prefazione di Igiaba Scego (pp. 210, euro 16), mentre per Capovolte esce Occhi d’acqua, una raccolta di racconti tradotta da Francesca De Rosa (pp. 160, euro 15).
Il romanzo ruota intorno allo sgombero della favela dove abita Maria-Giovane, che la stessa autrice nella nota all’edizione ci suggerisce di associare a lei bambina. L’intero testo è una vera e propria tessitura di racconti e legami in un sistema di vasi comunicanti per cui una storia conduce all’altra e tutte riportano lettori e lettrici al cuore della favela. Evaristo affida la narrazione a diversi personaggi: zio Totò, Bontà… Che a loro volta rievocano figure del loro passato, condividono la propria memoria con Maria-Giovane, destinataria di tante storie come molto probabilmente lo è stata Evaristo stessa durante la sua infanzia in una favela: «Nulla di ciò che è raccontato in Vicoli della memoria è vero e nulla di ciò che è raccontato in Vicoli della memoria è falso».

L’INTRECCIO di questo testo più che a quello di un romanzo assomiglia al disegno di una mappa: la favela, personaggia principale, viene descritta attraverso il percorso che Maria-Giovane fa nelle vite degli altri abitanti e dei suoi familiari e nel loro passato e sono proprio la sovrapposizione e l’accostamento di esistenze e tempi diversi che danno al romanzo una struttura.
La raccolta di racconti Occhi d’acqua ha vinto in Brasile il più importante riconoscimento nazionale per la narrativa, il premio Jabuti, e dopo quasi dieci anni esce in Italia con la prefazione di Jurema Werneck e quella della traduttrice Francesca De Rosa, che si sofferma sul concetto coniato da Evaristo stessa, quello di «escrevivência». Si tratta di una crasi tra scrittura ed esperienza che connota entrambi questi testi, «cerco la voce, la parola di chi racconta, per fonderla con la mia» e che le permette l’accesso a un «sapere incarnato».

I CORPI delle protagoniste e dei protagonisti di Evaristo sono in effetti gli epicentri di storie d’amore e morte. Anna Davenga nel primo racconto aspetta Davenga, il suo amore di cui ha deciso di adottare anche il nome, nella baracca insieme agli scagnozzi di lui e alle loro compagne. Ha paura che non torni, ma le espressioni dei volti di tutte quelle persone intorno a lei non sembrano farle presagire che sia morto. Anna e Davenga si sono incontrati in un cerchio di samba e da allora non si sono mai separati, mai. Natalina è alla sua quarta gravidanza e per la prima volta ha deciso che questo figlio lo terrà: il primo è stato adottato dall’infermiera che l’ha fatta partorire, il secondo da un uomo che desiderava tanto sposarla ma lei invece «non voleva nessun figlio e nessuna famiglia», il terzo lo ha generato per conto di una coppia di suoi datori di lavoro. Ed è nell’imprevedibilità di questa quarta attesa che risulta evidente la genialità di Conceiçao Evaristo.

LE DONNE E GLI UOMINI narrati da Evaristo, nel romanzo e nei racconti, abitanti delle baracche nelle favelas, si desiderano e si amano come è spesso inevitabile nel destino umano e trovano la morte invece in modi che possono risultare assurdi dal nostro punto di vista: travolti dai trattori, linciate su un autobus, uccise bambine da proiettili volanti, dilaniati da un ascesso al dente… Del resto, come scrive Francesca De Rosa la pubblicazione di questi testi: «ha come obbiettivo quello di considerare genere e razza non solo come categorie sociali, ma come elementi cruciali di analisi linguistico-culturali».
La lettura di questa autrice permette di realizzare tale risultato, di incontrare, oltre all’umanità e quindi la vicinanza universale anche il racconto della differenza e lo fa attraverso uno stile che esattamente come il suo personaggio Kimbá: «smuove la vita fino alla morte».